Ansonica: bianca giunzione fra sole e Tirreno. Un’uva identitaria che esaudisce ogni declinazione stilistica in vigna e in cantina
Nella prima puntata abbiamo sinteticamente narrato un po’ di storia, di aneddotica, di quel viaggio (più o meno sconosciuto) che ha portato nel tempo l’Ansonica a diventare protagonista nei vigneti delle zone costiere del centro-sud.
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Appurata l’incertezza delle strade percorse nei millenni, in questo secondo e ultimo articolo cercheremo di capirne quelle peculiarità che oggi, probabilmente in Toscana più che in Sicilia (entrambe terre elettive), la pongono come uva estremamente versatile e pronta a essere vinificata in varie tipologie con ottimi risultati a seconda del terroir e dello stile produttivo aziendale.
Uva del mare e vino da amare… parte seconda
Il titolo non è ovviamente pensato a caso: se è inconfutabile il legame di questo vitigno con l’area costiera tirrenica, è altrettanto vero che proprio la sua poliedricità pretende un vero amore da parte dell’assaggiatore per essere ben compreso e interpretato nel calice a ogni latitudine.
Riparto consapevolmente dalle parole di Giacomo Tachis con cui avevamo chiuso l’articolo precedente. Scrisse Tachis nel suo “Sapere di vino”:
«L’Ansonica è un grande vitigno capace di produrre un vino di qualità eccellentissima, con notevole struttura e gusto a seconda di come viene vinificato».
Come avemmo a dire la volta scorsa, è proprio la frase: «… a seconda di come viene vinificato» a darci lo spunto interpretativo del perché questa varietà di uva sia ritenuta così speciale e di come le svariate tecniche di vinificazione possano renderla così singolare e, potremmo affermare, unica.
Se ci concentriamo ad esempio sull’Arcipelago toscano e ancor più sul litorale grossetano che lo guarda dall’altra parte del mare, avrete di frequente la possibilità di assaggiare un vino a base Ansonica. Ci sono circa 50 produttori che allevano, vinificano e commercializzano questa varietà.
Sfumature di ansonica
Alcuni di essi imbottigliano solo o quasi esclusivamente da ansonica, altri invece la tengono come referenza “espressamente autoctona” tra le altre varietà che coltivano. Potremmo raggrupparne i vini in quattro versioni principali:
- “di pronta beva“: dove i profumi si concentrano in un bouquet ben bilanciato tra frutta a polpa bianca ed erbe aromatiche e dove il gusto è delicato e fresco. In questo caso, pur rimanendo vini di struttura, risultano molto beverini e fruibili. Potremmo definirli per tutti i palati;
- “macerata“: dove più è lunga la macerazione, più i toni del vino diventano scuri. Il colore tende all’arancione, la frutta diventa candita e alle erbe aromatiche si aggiungono fiori gialli maturi e il fieno. Al gusto emerge la sensazione tannica e sono note aromatiche distintive l’orzo e il miele;
- “in anfora“: forse il primo contenitore che nella storia accolse il vino migliaia di anni fa. Qui si apprezzano antichi sapori, espressi da toni originali e profumi che sanno di primordiale, ancestrali… il tutto esaltato dall’effetto della micro ossigenazione;
- “affinata in legno“: una versione, come intuibile, dai tratti speziati, con complessità accresciuta, “terzializzata” e di lunga persistenza.
Esistono poi le variazioni di tema:
- alcuni produttori danno alla versione “macerata” una declinazione in più e prevedono quindi un passaggio in legno più o meno lungo.
- La versione “passita” è un’altra apprezzatissima sfumatura che viene proposta da diversi produttori. Al Giglio era chiamata “Ansonica passola, vino dolce naturale liquoroso” e sulla costa esistono eccellenti vendemmie tardive. Alcune cantine vi producono anche il vinsanto.
- In una nota versione elbana l’uva intera viene fatta sostare nella profondità del mare per 5 giorni, dopodiché riposa per sei mesi in anfora prima di essere vinificata, richiamando, nel loro racconto, un antico metodo di conservazione “greco” che restituisce ovviamente dei toni unici, sapidi, primordiali.
- Esiste infine anche una versione spumante, una bollicina metodo classico di ottima fattura che farà senza dubbio da apripista ad altri produttori che sceglieranno questa versione.
Tachis – cit. “a seconda di come viene vinificato” – pare quindi coglierne proprio l’essenza: quanto impegno, quante tecniche, quante sfumature da un così limitato gruppo di produttori che, tra le abitudini di casa e le tradizioni del territorio, si prodiga con tanta energia nell’espressione di una sola varietà, per di più poco diffusa. A dare una percezione precisa della “singolarità” di questa varietà è anche l’esistenza di una denominazione a lei dedicata, “Ansonica Costa dell’Argentario DOC” alla quale appartengono orgogliosamente solo sette produttori locali.
Varrebbe la pena degustare questo vitigno in tutte le sue declinazioni nel bicchiere, solo in questo modo avreste la percezione completa del suo potenziale che spazia dal carattere giovanile e grintoso fino ad arrivare a quello che poi ti regala quell’austero gusto antico del vero vino “di una volta”.
Vista la produzione ridotta, purtroppo non risulta così semplice riuscire a reperire, assaggiare e confrontarne tipologie e sfumature nel calice. Nelle terre dell’Ansonica e dell’Inzolia esistono enoteche che danno maggior valore alla propria identità vitivinicola anche se, probabilmente, le esperienze più complete per l’assaggio si hanno con l’enoturismo visitando direttamente le aziende o, meglio ancora, approfittando dei pochissimi eventi specializzati a tema come quello rappresentativo di Orbetello (GR) che ogni anno a ottobre rende merito in modo esaustivo alla produzione quantomeno dei vignaioli della bassa costa toscana.
A proposito di macerazione…
La tecnica della macerazione, molto diffusa in Maremma, non è certamente mirata a seguire il trend del mercato. Non tutti i produttori dell’area la praticano ma sicuramente tutti ci hanno pensato o hanno provato a farla o, ancora, hanno avuto qualcuno in famiglia che l’ha prodotta prima, l’ha bevuta e forse anche venduta.
Per intenderci: il vino del contadino della bassa Maremma se è bianco è Ansonica e se è Ansonica è macerato. Qui l’orange wine si produce da sempre. Solo il nome è diverso: si chiama Ansonaco e proviene dal vitigno Ansonaca (slang gigliese). Una sua caratteristica è quella di avere una componente terpenica limitata, non è quindi un vitigno che cede molti profumi. Un vitigno neutro, ragion per cui si pratica storicamente la macerazione delle bucce nel mosto o nel vino (dai 5 fino ai 30 giorni delle versioni più estreme, da cui: “vinificazione in rosso”) e la si fa proprio per estrapolare dalle bucce i profumi ove, notoriamente, risiedono. Per questo motivo si tende anche a sovrammaturarlo rischiando a volte un pericoloso crollo di acidità.
Da queste tecniche scaturiscono effetti che si vedono e si percepiscono all’assaggio come l’intensificazione della massa colorante giallo oro, l’incremento del grado alcolico per la concentrazione degli zuccheri e la discreta astringenza.
Vengono infuse davvero tante energie e strategie per produrre un vino estremamente locale, che ha pochi sbocchi commerciali fuori dalla sua zona di produzione, che richiede molte attenzioni in fase di vinificazione e che spesso è anche prodotto in condizioni di “viticoltura eroica” (con terreni scoscesi, sassosi e pericolosi).
Ma si sa, nella vita a volte ci si incaponisce anche su progetti difficili e rischiosi, proprio come fanno i produttori di Ansonica della Maremma. Il bello e il sano di questa storia è che loro lo fanno per inseguire la tradizione, per recuperare quei pochi profumi molto tipici e singolari, quel gusto pieno e quasi masticabile di un vitigno che per tutte queste difficoltà ha anche attraversato un periodo di “abbandono” da parte di un buon numero di produttori locali, ma oggi, per meritata fortuna dei caparbi, vive un periodo di rivalutazione, di rilancio e quindi anche di reintegro del vigneto .. e siamo solo all’inizio!
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