Appenninia: terroir diffuso e vino da scoprire

Dibattito, assaggi e speranze: la Toscana può essere faro per il centrosud montano? Vino e riflessioni in libertà da Appenninia.


Partecipare alla Masterclass “Appenninia” a Vicchio di Mugello, tenuta da Francesco Saverio Russo, è stato uno dei tanti spunti da cui partire per parlare, ancora una volta, della viticoltura appenninica. Un pretesto dal quale scaturirà una serie di incontri qui su SI.net che coinvolgeranno, spero presto, diverse realtà ‘alternative’.


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È un argomento un po’ nerd, lo so, ma per noi montanari non alpini sembra guadagnare significato sempre più. Ne abbiamo già parlato su queste pagine in occasione del convegno di Cutigliano (PT) del gennaio 2024, ma è impossibile esaurire l’argomento con un paio di articoletti, anche perché l’argomento stesso sta acquisendo sempre più importanza e sotto molti punti di vista.

Dibattito…

Andiamo per ordine e raccontiamo l’evento, apertosi con il benvenuto del primo cittadino di Vicchio, Filippo Carlà Campa, che ha quindi lasciato la parola a Sabrina Landi per ringraziare l’organizzazione dell’intero evento e il gruppo dei produttori del Mugello, e a Carla Bocchio la quale, da esperta di marketing, ha raccontato dell’importanza della comunicazione durante la fase di definizione di identità del prodotto come è adesso per il mercato del vino appenninico.

Spirito Italiano appenninia,vino,montagna
foto: LT ©

Secondo la Bocchio, è fondamentale definire un vitigno e uno stile di vino a cui far riferimento. In questo caso, per esempio, non si tratterebbe però solamente di Pinot Nero (e relativi eventi a tema) ma anche del lavoro di gruppo dei produttori e dell’appeal turistico del territorio.

Gaetano Conte, responsabile Rauscedo per il Centro Sud Italia, ha affrontato il problema del cambiamento climatico e dell’importanza della scelta di ecosistemi e di forme di allevamento mirate: per Conte il cambiamento climatico non è necessariamente correlato linearmente alla gradazione alcolica – esempi importanti ne sono il Brunello Soldera 1980 (13,5%) e 2017 (14%) o Sassicaia 1968 (13,5%) e 2021 (14%) – ed esistono inoltre sensibili eterogeneità fra i vari ecosistemi. Differenze appurabili, ad esempio, nel confronto fra Borgogna (stessi vitigni negli stessi cru da tempo immemore) e Bordeaux o California (modifiche di impianti, scelta di varietà e cloni, gestione dei suoli e delle potature, tecniche agronomiche per la gestione degli zuccheri…) o ancora Langhe (modifica morfologica per favorire i grandi vigneti con conseguente perdita di territorialità).

In Italia esistono forme e sistemi molto diversi fra le varie microzone a causa della (o grazie alla) grande biodiversità esistente. Questo, secondo Francesco Saverio Russo, è un valore per chi vuole custodire il terreno e la territorialità e lo è anche nelle zone appenniniche nonostante i loro limiti fra cui, non ultima, la difficoltà a rapportarsi con l’esterno a causa di problemi logistici e a volte anche culturali: «I vitigni possono spostarsi in altri territori, ma i territori non possono spostarsi altrove» – cit. Veronelli nel suo passo “il vitigno è apolide” -.

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foto: LT ©

Anche la tradizione non è un valore statico, può anch’essa evolvere insieme al gusto e alla cultura ma ciò è possibile solo se e quando c’è libertà di sperimentazione: a tal proposito, la zona dell’Etna (ultimo avamposto appenninico) è di esempio con il suo exploit.


E’ evidente che l’Appennino sia una sorta di “terroir diffuso“, e proprio questo dovrebbe essere il filo conduttore del tema, poiché Appennino non è solo Toscana, ma tutta la spina dorsale geologica della penisola italiana. È qui che, finalmente e in tutta sincerità, l’incontro si è fatto interessante, fornendomi più di uno spunto di riflessione: è auspicabile un disciplinare al momento?

Probabilmente no, i tempi non sono ancora maturi, i produttori ancora pochi e molto piccoli, in dimensioni aziendali, soprattutto non è stata ancora definita l’”identità perseguibile” e chissà se se ne vuole avere una: ciò comporta un mancato riconoscimento ufficiale, è vero, ma probabilmente è il prezzo da pagare per mantenere l’autonomia di ricerca, indagine, tentativi. E’ pur vero che sono parecchie le aziende che hanno già “marchiato” a pregressa denominazione storica la loro produzione di montagna (vedrete anche sotto, nei vini in masterclass) ma pensarne a una nuova… è proprio un’astrusità o ce ne sarebbe davvero bisogno?

Un (il) “grande assente” al tavolo di Appenninia è stato il tema Pilzwiderstandfähig (per tutti PIWI) e tutta la loro capacità di essere uve più resistenti alle malattie fungine consentendo un minor impatto ambientale per la sensibile riduzione di interventi chimici in vigna.

Eravamo in Toscana e parliamo di Toscana, ma se parliamo di Toscana non si può omettere che in questa regione i PIWI ancora non sono autorizzati (queste li consentono). Una riottosità forse dovuta al forte tradizionalismo regionale che può diventare immobilismo o magari alla preoccupazione di difendere la biodiversità autoctona – e qui si aprirebbe un altro capitolo denso di argomenti molto interessanti -.

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foto: Pagarau

Le novità spaventano sempre e non è detto che siano una soluzione a tutti i problemi, ma l’idea di diventare una palestra pioneristica per la viticoltura è un progetto che fa gola a molti: non dimentichiamoci che nel corso della storia, sotto molti aspetti la Toscana stessa è stata avanguardia sociale, politica e scientifica. L’inserimento delle uve PIWI nei disciplinari nazionali prevederebbe inoltre degli approfondimenti e dei nuovi approcci in degustazione per il mondo “sommelieristico” almeno per i primi anni. Tutto ciò non è in ogni caso relegabile ad un sistema regionale ma più diffusamente a un’area geografica, con caratteristiche morfologiche e sociali comuni, che si estende lungo tutta la dorsale montana della Penisola.

Conoscendo e analizzando gli strumenti messi a disposizione dalle amministrazioni – da quelle locali a quelle europee – possono aprirsi prospettive e occasioni inattese. Rimane essenziale un valore di cui si parla sempre troppo poco: l’Amore per il territorio. Questo è infatti l’ingrediente principale perché senza l’attaccamento emozionale, il senso di appartenenza e l’affetto vero per i luoghi non sarà possibile superare le millemila difficoltà burocratiche, logistiche, economiche, umane, che si presenteranno lungo il percorso.

Il vino, la sua produzione, è solo uno dei tanti esempi di possibilità dello sviluppo (o meglio, del mantenimento) del territorio. È di questo che qui noi parliamo, ma è importante capire il sistema collettivo, imprescindibile, che lega cose persone ambiente e tutto lo scibile quotidiano della vita. Il concetto di vino “eroico” è una boutade, un modo come un altro per richiamare l’attenzione del consumatore finale perché – per noi – gli eroi sono altri e ci teniamo a ribadirlo.


In assaggio

Tornando alla masterclass, i vini in degustazione sono stati ben venti, tutti puliti e corretti alla faccia dei degustatori superficiali e benpensanti che associano i vini artigianali a vini brettati o puzzolenti: non c’è errore di valutazione più grande. I vitigni di riferimento sono stati pinot nero e sangiovese, con un’interpretazione di centesimino nel ravennate e qualche tentativo di vini bianchi, non in grado di competere (paradossalmente) con la gradevolezza dei rossi. Di seguito i miei personali appunti su ciò che più mi ha colpito. In ordine sparso.

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foto: LT ©
Terre Alte di Pietramala – Rosso Malapietra 2022
(Pinot Nero)

Seconda annata di questo gradevolissimo vino ottenuto da uve deraspate, dalla vigna a 881 mt slm con alta densità di impianto – scelta dovuta semplicemente alla necessità di ottimizzare il poco terreno a disposizione. Nonostante la mancata filtrazione sfoggia un rubino trasparente e luminoso, che si esprime con profumi di frutti di bosco appena maturi e delicatezza floreale di mughetto e gelsomino e al sorso dichiara tutta la gradevolissima freschezza; succoso e gentile, varietale, il tannino è delicato e fruttato e l’elegante persistenza è su lunghi richiami di fragoline selvatiche.

Tenute Tozzi – Ravenna IGP Vivì 2021
(Pinot Nero)

Sono vigne con terreni ricchi di solfato di calcio, gesso, sabbia e argilla, esposte a Nord Est a 480 mt slm, che producono questo vino dagli intensi profumi di amarena dolce e rosa canina. L’assaggio si apre succoso, fragrante e dissetante, dal sapore speziato leggermente piccante e con tannini fruttati in equilibrio con l’ottima acidità per una facilità di beva allegra e accattivante proprio come una vacanza in Riviera Romagnola.

Tenuta Baccanella – Toscana IGT Baccarosso 2021
(Pinot Nero)

Intensi profumi di rosa rossa, fragola e amarena che arricchiscono il gusto fresco, dai tannini ancora un po’ giovani ma fruttati. Bevibilità rinfrescante e eleganza che si allunga su confettura di frutti di bosco.

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foto: LT ©
Fattoria Brena – Toscana IGT Sopra di Sopra 2019
(Pinot Nero)

Rosso rubino luminoso, dai profumi di mirtilli, ribes nero e more, ciliegia amarena e tabacco si va verso un assaggio dal gusto acceso, acuto, pungente ma intrigante: freschezza e sapidità esaltano il sapore, la salivazione è tenuta a bada dal grip tannico e dal calore. Persistenza su scia di cassis.

Frascole – Toscana IGT Pinot Nero 2019
(Pinot Nero)

Necessita di qualche minuto in più nel bicchiere per poter sprigionare profumi floreali e note speziate, quasi balsamiche. Il varietale si rivela all’assaggio, caldo e succoso rinfrescato da un’acidità fruttata e vivace. Il corpo consistente e i tannini netti non impediscono la soddisfazione del sorso, lungo e profondo.

Fattoria San Leolino – Toscana IGT Miraia 2020
(Sangiovese)

Tra Mugello, Casentino e Rufina, su Macigno a circa 500 mt slm nasce questo sangiovese dal bell’approccio floreale e balsamico che al sorso conferma tutti i profumi di scorza d’arancia navel matura e dolce, ciliegia ferrovia, vaniglia, tè nero, tabacco e note ferrose: complessità che, grazie all’eleganza del corpo slanciato e atletico, utilizza la freschezza e il tannino ancora in corso d’opera per guidare la personalità e il carattere sensuale verso una lunga persistenza.

La Sabbaiona – Ravenna IGT Rifugio 2018
(Centesimino)

Olfatto intrigato dalla fragranza di prugne e more, dal potere balsamico e speziato di pepe nero e incenso, con rimandi tostati di peperone. Gusto ricco e elegante, con la morbidezza gestita dal tannino dolce e piccantino. Struttura, equilibrio e lunga persistenza al gusto di confettura brusca di susine nere.


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foto: Hejot

Mi resta la grande curiosità di visitare le altre zone appenniniche coinvolte in progetti simili, emiliane e romagnole, umbro-marchigiane ma soprattutto meridionali: dal Molise all’Abruzzo e dall’Irpinia fino all’Etna. Siamo purtroppo consapevoli che non tutte le regioni viaggino alla stessa velocità ma… provate a progettare e fare che noi veniamo, ben disposti e con grande curiosità… Se ci andremo, naturalmente, non mancherò di farvi partecipi: stay tuned!



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foto: Luisa Tolomei ©
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