L’assenzio del diavolo e le suggestioni soprannaturali nel capolavoro di Oscar Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”
SPIRITI LETTERARI
«I libri sono scritti bene o scritti male. Ecco tutto»
Oscar Wilde
prefazione al volume “Il Ritratto di Dorian Gray” a cura di Benedetta Bini, Feltrinelli Milano 1991
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Inizio il nuovo appuntamento di “Spiriti Letterari” con questo aforisma poiché Il Ritratto di Dorian Gray, il celeberrimo libro di Oscar Wilde, è scritto “dannatamente” bene.
Un testo contraddistinto da eleganza e veemenza quasi a rispecchiare due delle caratteristiche salienti dello scrittore di origine irlandese arrivato come una tempesta nella società vittoriana inglese a scombinarne le ferree regole morali e morto troppo giovane a soli 46 anni nell’anno che segnò l’avvio del XX secolo.
The picture of Dorian Gray fu pubblicato per la prima volta nel numero di luglio del 1890 della rivista Lippincott’s Monthly Magazine, un mensile letterario edito a Philadelphia, solo dopo i numerosi interventi operati dai redattori sul dattiloscritto inviato da Wilde per eliminare le parti ritenute più scabrose.
Copertina del Lippincott’s Monthly Magazine, luglio 1890 – (PDM)
In occasione della pubblicazione della prima edizione in volume nel 1891, ad opera dell’Editore londinese Ward, Lock and Bowden Company, Wilde dovette intervenire sul suo testo con numerose aggiunte e revisioni per rendere più accettabili alcuni passi ritenuti oltremodo compromettenti.
Purtroppo, il tentativo fu vano: il volume, infatti, fu comunque utilizzato come prova a suo carico durante il processo e la condanna che lo scrittore subì per omosessualità.
il mito dell’eterna giovinezza e dannazione in Dorian
La trama è certamente nota: Il bellissimo Dorian Gray, grazie ad un patto col diavolo che non appare mai come personaggio ma che viene evocato nel romanzo dai comportamenti del cinico Lord Henry Wotton, ottiene il dono dell’eterna giovinezza.
Infatti, a invecchiare e portare i segni della sua condotta dissoluta e criminale, sarà lo splendido ritratto dipinto da Basil Hallward, amico e spasimante non ricambiato di Dorian Gray.
Il tragico finale sublima il rovesciamento dei ruoli: Dorian Gray, precocemente invecchiato nell’aspetto, viene rinvenuto morto con un pugnale nel petto, mentre la figura rappresentata nel quadro torna all’antica bellezza e alla gioventù di quando era stata dipinta.
A trecento anni esatti da La Tragica Storia del Dottor Faustus di Christopher Marlowe (1590) torna nel testo di Wilde il tema del patto col diavolo, uno dei temi letterari più controversi, già trattato agli inizi del 1800 nel Faust di Johann Wolfgang von Goethe.
Nei due esempi letterari citati, però, il patto riguardava la bramosia di conoscenza, in Wilde, invece, l’oggetto dell’accordo “satanico” è l’eterna giovinezza e la bellezza.
Si tratta di un evidente scarto semantico e, anche senza scomodare il celeberrimo mito di Narciso che Wilde sicuramente ebbe presente, è chiaro il riflesso dell’interesse dello scrittore irlandese per l’“Estetismo”, il movimento artistico e letterario in auge dalla seconda metà dell’Ottocento sino ai primi decenni del secolo successivo e reso famoso, tra gli altri, da Baudelaire, Ruskin, D’Annunzio.
l’assenzio: induzione alla meraviglia
In una trama carica di suggestioni soprannaturali e per così dire “luciferine”, la lettura del romanzo mostra, tra l’altro, accadimenti di “cose strane e meravigliose”, in un percorso quasi iniziatico connesso agli effetti di un distillato molto apprezzato da Wilde, l’assenzio, le cui peculiarità sono descritte dallo stesso scrittore:
«Un bicchiere d’assenzio, non c’è niente di più poetico al mondo… Che differenza c’è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello, quello in cui vedete le cose che volete, cose strane, meravigliose».
La fée verte
Oggi, pertanto, facciamo tappa nel mondo della “fata verde”, lo pseudonimo con cui molti conoscono uno dei distillati più controversi della storia “alcolica”, la cui reputazione ha avuto una meritata riabilitazione nel 2019 quando l’Assenzio francese di Pontarlier, dopo una lunga diatriba con la Svizzera, ha ottenuto dall’Unione Europea l’Indicazione Geografica.
Ad onor del vero, era stato un medico francese, Pierre Ordinaire, fuggito in Svizzera a seguito della Rivoluzione Francese, a proporre per la prima volta l’assenzio come bevanda per curare diverse patologie.
Ben presto l’assenzio, la cui commercializzazione fu intrapresa da Pernod nel 1805, nella distilleria situata proprio a Pontarlier, divenne una bevanda diffusissima in Francia.
La rapida crescita della produzione della “fata verde”, il conseguente crollo del prezzo di acquisto, il notevole aumento del consumo con tutte le conseguenze negative legate all’alcolismo, minarono la fama del distillato.
Fu così che da elisir prezioso per la cura di molte patologie, divenne una bevanda considerata responsabile del dilagare in Francia di numerose piaghe sociali, magistralmente sintetizzate del dipinto di Degas l’Absinth del 1876 nel quale viene raffigurata una donna seduta davanti due tavoli che sembrano galleggiare nell’aria in uno stato di “assenza” ipnotica di fronte a un bicchiere di assenzio.
Edgar Degas, L’Absinthe, 1876, Musée d’Orsay Paris (PDM)
In ogni caso, l’assenzio, soprattutto in Francia, continuò a diffondersi, dalla seconda metà dell’Ottocento, in vari strati della popolazione; in particolare numerosi scrittori e artisti di primaria importanza ne fecero un uso metodico poiché era invalsa la convinzione che stimolasse la creatività.
euforia e creatività da assenzio
Infatti, l’assenzio viene ricavato distillando un arbusto di colore verde argentato, l’Artemisia absinthium, miscelato con altre erbe officinali: la pianta contiene il tujone, un terpenoide che ha principi attivi molto simili a quelli contenuti nella canapa indiana.
Il tujone, in notevoli quantitativi, agisce sul sistema nervoso centrale determinando uno stato di euforia a cui però possono far seguito allucinazioni, convulsioni e delirio.
Le proprietà psicoattive di questo arbusto erano già note in epoca antica. Gli Assiri e gli Egiziani ne facevano uso. Quasi sicuramente i suoi effetti erano utili nei riti orgiastici svolti in onore di Artemide, la dea greca della caccia, dal cui nome deriva quello dell’arbusto.
Citato dall’immancabile Plinio il Vecchio, nel “De re coquinaria” di Apicio si parla espressamente di un “vino d’assenzio romano”.
Non era certo la prima volta che in Europa gli intellettuali ricorrevano a sostanze particolari per aiutarsi a trovare ispirazioni: in Inghilterra alla metà del Settecento, ad esempio, il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge faceva uso massiccio di oppio, mentre nella metà dell’Ottocento alcuni dei migliori scrittori francesi (Alexandre Dumas, Victor Hugo, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac), si riunivano a Parigi in un salotto che già nel nome non lasciava spazio a equivoci: Il Club dei mangiatori di hashish.
La progressiva diffusione della produzione di assenzio metteva a disposizione di artisti e scrittori una sostanza contenuta proprio nell’assenzio, capace di infondere nuova linfa vitale ai processi creativi.
La lista dei bevitori di assenzio è lunga e presenta nomi prestigiosi: tra gli altri, Van Gogh, Toulose Lautrec, Degas, Manet, Picasso, D’Annunzio, Hemingway, Zola e molti altri.
Inevitabile, inoltre, era l’interesse per l’assenzio da parte di una folta schiera di personaggi dediti all’esoterismo e alle arti magiche: tra tutti voglio segnalare la controversa figura del mago esoterico Aleister Crowley, autore, nel 1918, di un libello dedicato a questo distillato dal titolo Absinthe: The Green Goddess.
il divieto al consumo
Nei primi anni del Novecento, per arginare il consumo di assenzio, diversi Stati agirono a livello normativo per impedirne l’uso, temendo ripercussioni sociali difficili da controllare connessi ad un uso smodato del distillato.
Inoltre, il consumo di Absinthium stava mettendo in crisi le vendite dei distillati di vino e gli interessi dei grandi produttori vinicoli, un altro motivo, quindi, per limitarne la commercializzazione.
Il destino dell’assenzio era ormai segnato: nel 1915, il governo francese ne vietò il consumo sfruttando un atroce fatto di sangue avvenuto qualche anno prima in una cittadina Svizzera quando un uomo in preda a vaneggiamenti dovuti all’abuso di alcol (ma pare avesse bevuto anche assenzio), aveva massacrato la sua famiglia. Così, già a partire dal 1908, la Svizzera ne aveva già vietato l’uso.
In Italia, dopo un primo divieto risalente al 1921, il Regime Fascista, nel “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza” del 1931, vietò definitivamente il consumo di assenzio in Italia, collegandolo al pericolo di disordini sociali.
Questo divieto si protrarrà sino al 1992 anno in cui venne emanato un decreto legislativo col quale l’Italia recepiva due direttive CEE, una del 1988 e l’altra del 1991. Entrambe, pur non citando mai la denominazione assenzio, liberalizzavano l’uso del tujone nelle bevande purché nel rispetto di determinati limiti quantitativi, spalancando di fatto le porte alla rinascita dell’assenzio in Europa.
la riscoperta dell’assenzio
Oggi, muniti di un buon bagaglio di conoscenze, è possibile scegliere tra vari assenzi di notevole qualità, per riavvicinarsi a un distillato dalla storia burrascosa ma che ha ancora moltissimo da dire grazie alla combinazione sapiente dell’Artemisia absinthium con molteplici erbe tra le quali l’anice verde, il finocchio, l’artemisia pontica, la melissa, l’issopo, il calamo aromatico, la menta, il coriandolo, la camomilla, etc.
Che sia di tipo tipo Blanche, La Bleue o Verte, una perfetta degustazione dell’assenzio parte dalla sapiente immissione di acqua ghiacciata, goccia a goccia, nel liquido mentre, se si vogliono cogliere a pieno i profumi e gli aromi del distillato, è preferibile evitare la zolletta di zucchero.
Piano piano, a seguito della diluizione, si formerà il louche, che deve partire dal fondo del bicchiere e rendere lattiginoso il liquido. Dopo aver apprezzato il colore di partenza, si dovrà osservare il distillato a seguito della diluizione perché un notevole intorbidimento è considerato un fattore positivo.
Già in questa fase si potranno apprezzare i profumi che lentamente si sprigionano dal fondo del bicchiere e investono il nostro olfatto. In bocca il liquido deve essere cremoso, vellutato, morbido, denso: nei migliori assenzi si sentirà pochissimo l’alcol e saranno assenti i difetti dovuti alla coda del passaggio in alambicco.
Gli aromi si susseguiranno senza che nessuno prevalga sugli altri in maniera invadente e alla fine una buona persistenza aromatica sarà il segnale definitivo che siamo in presenza di un grande prodotto, preparato a regola d’arte.
Tornando al bellissimo romanzo “Il Ritratto di Dorian Gray”, accanto alle numerose edizioni che è possibile leggere, mi permetto di citarne due particolarmente interessanti.
La prima, è l’edizione di Feltrinelli del 1991, curata da Benedetta Bini, che aggiunge al meticoloso lavoro della traduttrice un elemento davvero intrigante: la prefazione al testo di Aldo Busi. Si tratta di un’edizione divenuta rara ma volendo si trova ancora, navigando nell’immenso mare di internet.
L’altra edizione che voglio segnalarvi è quella che pubblica il dattiloscritto originale inviato da Oscar Wilde al Lippincott’s Monthly Magazine.
Come anticipato, il testo stampato nella rivista di Philadelfia e poi in volume a Londra, soffrì di ripetuti tagli, integrazioni e cambiamenti dovuti ai tentativi (vani) di Oscar Wilde di stemperare le parti ritenute pericolosamente scabrose per la società del tempo.
Adesso invece, grazie al recentissimo volume Il ritratto di Dorian Gray (il dattiloscritto originale), a cura di Nicholas Frankel, traduzione di Michele Piumini, Mondadori, 2019, è possibile tornare alle origini di questo fortunatissimo testo.
Infine, una curiosità letteraria: nello stesso anno in cui il Lippincott’s Monthly Magazine diede alle stampe Il Ritratto di Dorian Gray, ma sei mesi prima, cioè nel numero di febbraio del 1890, la prestigiosa rivista letteraria americana aveva accettato di pubblicare il dattiloscritto di un giovane scrittore scozzese, allora trentunenne: il suo nome era Arthur Conan Doyle e il dattiloscritto che poi consacrerà definitivamente il mito di Sherlock Holmes si intitolava Il segno dei Quattro.
prendete appunto:
l’opera | The picture of Dorian Gray |
l’autore | Oscar Wilde |
la bevanda | Assenzio |
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