Per reintegrare i sali minerali dopo una bella escursione sui monti della Carnia… in otto chilometri, due birrifici artigianali di qualità: Dimont e Bondai
Quando si dice che un’immagine o un video valgano più di mille parole…
si legge (più o meno) in: 7 minuti
Senza tanti preamboli lasciamo che oggi sia direttamente la nostra colonna sonora a introdurre l’argomento, e ci mettiamo muti in ascolto per un paio di minuti.
Per il nostro tour birrario di oggi siamo pronti a lasciare la pianura e partire verso l’alto.
“Destinazione Paradiso” cantava Gianluca Grignani tanti anni fa, e forse è proprio così per questa vallata, famosa più per gli accaniti avvenimenti della Prima Guerra Mondiale che per essere una via nascosta di collegamento tra Italia e Austria.
Ci troviamo in Friuli Venezia Giulia e più precisamente in Carnia, alta valle del But e siamo andati a cercare di capire perché in luoghi cosi’ complicati, difficili, alla breve distanza di soli 8 chilometri siano sorti negli ultimi anni ben due birrifici artigianali che si stanno ritagliando il loro significativo spazio nel sempre più affollato panorama italiano.
Per chi fosse interessato, l’escursione parte la mattina presto. Prima tappa una bella salita alle fortificazione e ai resti di guerra sulla cima del Pal Piccolo (pochi chilometri più avanti) e una volta ridiscesi un po’ di relax per ritemprarsi dalle fatiche alle famose acque termali di Arta Terme (proprio nel bel mezzo) e visto che bisogna reintegrare i sali minerali consumati, si termina la giornata con un paio di bevute rilassanti e disintossicanti…
Due birrifici, due diverse impostazioni, sempre alla ricerca della qualità, a partire soprattutto dalle materie prime, e più precisamente dal componente principale, da quel 95% circa che è l’acqua, che se non è buona si sente nel risultato finale. E quale acqua migliore di quella che arriva incontaminata e pura dalle alte montagne?
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire queste due realtà e vedere quali sono state le loro reazioni alle nostre domande, alle nostre famose…
Le 3+1 “P” (una sta nel mezzo):
- Perché lo fai?
- Perché proprio qui?
- Perché proprio queste birre?
- E adesso come Procediamo?
Partiamo dal primo birrificio che si incontra lungo il percorso, siamo a Cedarchis, frazione del comune di Arta Terme dove troviamo ad accoglierci Marco, mastro birraio di Dimont.
Dimont
Più che lui ad accoglierci, in realtà siamo noi che ci immergiamo brutalmente e andiamo a rompere le scatole nel bel mezzo della sua attività lavorativa, mentre sta tentando di scaricare i residui del contenuto di un tino di bollitura appena svuotato del suo prezioso contenuto liquido passato poi nel tino di fermentazione dove diventa effettivamente alcool e quindi birra.
Abbiamo detto propriamente tentando perché, avendo avuto a che fare con la produzione di una Blanche, nel tino erano state inserite anche bucce essicate di arancia che avevano avuto la cattiva idea di intasare il tubo di scarico.
Problema subito risolto in maniera brillante con la forzatura di un getto potente di acqua corrente che ha si provocato lo spurgo immediato dell’intasamento ma ci ha anche costretti a scappare da una piena improvvisa di una poltiglia liquida calda verdastra (luppolo) mista a una valanga di bucce ormai più giallastre che arancioni – così abbiamo anche capito il perché delle scritte tipo: “Attenzione, pericolo, ingresso riservato agli addetti ai lavori” -.
Marco ha proseguito il suo lavoro ma non si è tirato indietro per fare quattro chiacchiere con noi, d’altra parte… “the show must go on” nonostante la pulizia del tino e il controllo di qualità.
Ho preferito andare sul tecnico per cercare di carpire qualche segreto. Abbiamo parlato soprattutto dell’acqua, che arriva dalla rete proveniente dal soprastante Monte Cabia.
Acqua perfetta per le loro produzioni, acqua che, scorrendo attraverso le rocce, arriva con il giusto contenuto di minerali e non necessita di correzioni e aggiustamenti prima dell’uso.
Così scopriamo che la bontà della fonte ha fatto sì che, anche in una estate così torrida senza piogge e con diffuse siccità come la scorsa, non sia mai venuto meno il suo corretto afflusso.
Arrivato anche Piero, uno dei soci fondatori, sono finalmente passato alle nostre famose domande.
Il “Perché lo fai” è semplice: nati per caso, da alcuni amici che cercavano di capire cosa fare da grandi una volta andati in pensione dopo varie esperienze nella grande azienda. Per cui, perché non fare birra?
Da cui scatta la ricerca del luogo – Perché qui -, con l’obiettivo proprio di partire dall’acqua, acqua buona, ed ecco allora il ritorno verso le terre di origine, verso la montagna.
Individuata la zona restava da trovare l’ubicazione esatta, cosa non così semplice fino al momento in cui è capitato sottomano un bel capannone dismesso dove potersi insediare.
Visti gli importanti passati lavorativi e le relative conoscenze acquisite, si è studiato sodo per arrivare a un Progetto Industriale per la produzione di Birra Artigianale, nel senso che nulla doveva essere lasciato al caso, tutto doveva essere funzionale, non improvvisato, alla ricerca di qualità e con le giuste dimensioni e la possibilità di poter eventualmente anche crescere.
Valutata attentamente anche la scelta produttiva – Perché queste birre – alla ricerca di prodotti semplici, ben fatti, senza troppe sperimentazioni e derive particolari solo perché “alla moda”.
Le birre devono piacere alla gente non a chi le fa. Il tutto poi pian piano perfezionato, con la ricerca delle migliori materie prime, pregiati malti tedeschi, luppoli dai paesi di riferimento in base alle tipologie prodotte (tranne in un caso).
Focus su solo sei tipi di birra, per avere sempre a disposizione tutta la linea e sempre fresca di produzione, direttamente e subito dal produttore al consumatore.
Tutto questo con una quasi inaspettata ottima accoglienza e accettazione da parte della gente locale che ne ha intravisto la potenzialità turistica in questi tempi difficili «…non abbiamo una distribuzione capillare nazionale, da noi capita gente da tutta Italia, semplici turisti o appassionati di birra che hanno avuto modo di conoscerci in vari modi. Per noi è importante il passaparola della gente soddisfatta» racconta Piero.
Aggiungiamoci poi come plus locale il recupero, nei nomi e nelle etichette delle birre, dei folletti del luogo, gli sbilfs, piccole mitiche creature magiche, simpatiche e burlone che riempiono di storie le leggende di tutta questa area alpina del nord Friuli. Ecco così il Gjan, il Licj, il Brau, il Bagan e il Pavar.
Il “come Procediamo” sta ora nella modularità del progetto stesso, pronti a perfezionarsi e già in attesa di nuovi fermentatori per ampliare il “parco macchine”, visto che anche questa estate le scorte si erano fatte veramente scarse.
Ovviamente non potevamo andarcene a bocca asciutta, per cui quale proposta migliore che quella di assaggiare qualcosa direttamente dai tini di produzione?
Per avere conferma della veridicità di quanto detto ci siamo subito fiondati su una bella IPA, la Braulin, prodotto le cui derive rischiano di portarci a delle amaricazioni tremende. Qui troviamo conferma invece di un prodotto equilibrato, rispondente allo stile ma molto beverino, dove la tendenza amara dei luppoli non disturba ma anzi accompagna la base maltata di partenza. Sicuramente facile da bere per tutti, anche per chi si tiene sempre a distanza non appena vede apparire le tre famose letterine in questione.
Doverosi saluti conclusivi perché il tempo stringe e la strada ci aspetta, strada che però come detto è poca, e in meno di 10 minuti arriviamo a Sutrio, praticamente alla partenza della salita che si inerpica verso il famoso Monte Zoncolan (mitico per i richiami al ciclismo, al giro d’Italia o alle piste da sci in periodo invernale).
E’ qui che troviamo ad accoglierci Luca e Arianna, compagni di vita e anima creatrice e operativa del Birrificio Bondai
Bondai
Cerchiamo anche qui di comprendere la loro realtà con le risposte alle stesse domande di prima.
Perché lo fai? Luca ci spiega che arriva abbastanza tardi alla scoperta del pianeta birra, si appassiona solo da grandicello, quando da Treviso passa a un periodo di vita in Australia, dove le serate non sono più a base di prosecco ma di altro liquido fermentato, con un innamoramento per la Coopers Beer.
Una volta tornato in Italia parte con la scoperta dei kit prefatti dei tempi che furono (anche perché, tra questi ritrova guarda caso proprio la amata Coopers altrimenti di difficile reperibilità alle nostre latitudini).
Con i preparati, in maniera più o meno semplice seguendo pochi passaggi, si potevano produrre una ventina di litri di birra al colpo, pronta e fatta, senza possibilità di modifiche e intervento – un po’ come come le pizze in scatola o i dolci cui basta aggiungere latte e infornare. “Prendere o lasciare”. –
La voglia di sperimentare lo portò piano piano ad approfondire e studiare in dettaglio i vari aspetti per arrivare alle produzioni complete in autonomia, sempre a tempo perso e a rigoroso uso casalingo, continuando nel suo giornaliero lavoro dipendente (bisogna pur vivere dice qualcuno).
Ma nella vita ci sono gli amici, quelli che apprezzano tutte le sue opere e lo vedono vincere in vari concorsi per homebrewer casalinghi, e che cominciano a soffiare sui carboni accesi per spingerlo a dedicarsi a questa attività a tempo pieno.
I timori sono tanti, i fondi a disposizione sono quello che sono, ma la passione a un certo punto prende il sopravvento, passione che deve però convivere con quelle che sono le sue idee di base, non derogabili, che prevedono un luogo non isolato, in un paese che abbia la giusta dimensione, non troppo grande né troppo piccolo, e con anche la possibilità di rivendita e mescita diretta (la cosiddetta taproom).
Così ci smarchiamo il Perché qui? con la scoperta di Sutrio, mondo piccolo ma località turistica, di largo passaggio, dove c’è già un po’ di tutto.
E’ una folgorazione e la possibilità di trovare uno stabile in disuso (un ex mobilificio dismesso) da rivalutare una volta suddiviso in lotti, grazie alla disponibilità del Comune, permettono di completare l’opera, e iniziare una nuova, difficile, avventura.
La partenza è studiata e ridotta ai minimi termini, nasce in piccolo con pochi fermentatori, con una accurata valutazione dei costi di partenza, solo che poi in breve arriva subito un crescente successo che costringe e allo stesso tempo permette di provvedere a nuovi ulteriori investimenti.
Faccio le birre che piacciono a me, che amo io, – Perché queste Birre… – in continua evoluzione e perfezionamento, perché stare fermi è perdere occasioni.
L’importante comunque è mantenere bevibilità ed equilibrio, non cose propriamente semplici ma neanche troppo estreme, sempre allo studio per nuovi prodotti, con apertura ai nuovi sviluppi, festival, collaborazioni con altri birrifici – come Procediamo -. Lineup che prevede quindi oltre una decina di referenze, a seconda dei periodi, oltre a produzioni stagionali o oneshot
Siamo in montagna e anche qui c’è la fortuna di avere una buona acqua normale di rete, con dolcezza giusta, per cui non servono interventi correttivi per i vari prodotti. Acqua che si dice arrivare dalle sorgenti del Fontanon, poco più in alto (mentre già in altre parti del paese è diversa).
In questo caso mi è andata bene e ho potuto anche sottoporlo anche al test del B&B, che non sta per Bed&Breakfast ma per Bottiglia o Barattolo, così come si sta ormai direzionando il mercato.
In questo caso la risposta è stata semplice in quanto attualmente la produzione è tutta autogestita in Lattine.
Motivazioni che risiedono in questioni di packaging migliore, ridotte dimensioni, trasportabilità e minore occupazione di spazio, nessun contatto con la luce, ambiente neutro, possibilità di riempimento fino al limite e no contaminazioni.
Benissimo, complimenti, ma ancora un poco ci dimenticavamo della cosa migliore, ossia un bell’assaggio.
Ci siamo spostati sul davanti, sede del locale di mescita al pubblico e ci siamo seduti al bancone, senza esagerare, visto che l’ora cominciava ormai a farsi tarda.
Dopo attenta valutazione delle numerose spine disponibili abbiamo optato per una bella (e buona) Heya, una American Amber Ale, birra quindi di un bellissimo colore ambrato dove la biscottosità caramellata del cereale è corroborata dall’intervento dei profumati luppoli americani che tolgono ogni possibile deriva mellifua arrotandando e bilanciando gli aromi – come diceva prima? Equilibrio e beverinità alla massima potenza -.
E’ così, finalmente (e purtroppo…) giunta l’ora di fermarsi, ci sembra proprio di sentire (con suggestione da birra buona d’altura): “tra boschi e valli d’or… là su per le montagne, un cantico d’amor”. E’ quindi il momento tornare e fare le nostre considerazioni.
Abbiamo capito che “montagna” non vuole solo dire asprezza, fatica, dolori, ma anche gioia, piacere, serenità, colori che colpiscono e soprattutto accoglienza da ricordare. Alla prossima Marco, Piero, Luca e Arianna. Grazie di tutto!
foto: Mauro Bonutti
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