Il sistema-vino Italia entrerà in crisi per molto meno del 200% di dazi USA. Senso di responsabilità e pochi proclami.
«Temete le ultime trombe, amici miei! Il prossimo verrà dal cielo… e poi verranno mille e mille scorpioni!»
Comprendiamo che iniziare dall’Ubertino da Casale di Umberto Eco può creare un’eccessiva atmosfera da catastrofe ma qui il gioco sembra farsi più arduo che duro e c’è poco da scherzare.
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Nel nostro articolo di pochi giorni fa l’avevamo previsto – non serviva essere dei grandi chiaroveggenti per capirlo – che la situazione si sta accendendo con toni troppo pericolosi. Una escalation che può portare a conseguenze devastanti oppure a una quiete dopo varie schermaglie iniziali. Rimane per ora una sola certezza: l’incertezza.
Donaldo da Washington minaccia azioni lesive per l’economia europea e il trenino UE con 27 vagoni (qualcuno verniciato a nuovo, qualcuno rugginoso) sbanda e con esso anche il settore che più ci sta a cuore. Intendiamoci: per l’Unione stellata non era possibile rimanere solamente a guardare però, come spesso è accaduto, si ha la sensazione che le teste a decidere siano troppe.
Proporre ufficialmente non solo di ripristinare le contromisure attuate nel periodo 2018-2020 in risposta ai dazi USA dell’epoca, ma anche di ribilanciarle ed eventualmente ampliarne il paniere… ha ovviamente scoperto il vespaio.
Fatto sta che se da aprile l’UE, in maniera del tutto legittima (ma forse un po’ poco lungimirante), deciderà di rispondere ai dazi trumpiani su acciaio e alluminio, ne potremmo vedere delle brutte e, fra i vari settori interessati dalla tassazione, lasciateci dire che il settore wine&spirits potrebbe essere (a lungo termine) uno fra i più devastati dalle misure.
Fra i prodotti statunitensi a rischio tassazione per l’import in Europa (questa la lunga lista) fra biciclette, frullatori, motociclette, animali, burro d’arachidi e tanto altro ancora… ci sono anche gli spirits (whiskey ma non solo) e ieri gli USA hanno fatto capire di non gradire il lavoro degli stakeholder nostrani ed essere pronti a ritassare l’Europa sulla base delle contromisure.
Queste le dichiarazioni di Donaldo (maiuscolo compreso) apparse su Truthsocial ieri e riprese dai media mondiali: «The European Union, one of the most hostile and abusive taxing and tariffing authorities in the World, which was formed for the sole purpose of taking advantage of the United States, has just put a nasty 50% Tariff on Whisky. If this Tariff is not removed immediately, the U.S. will shortly place a 200% Tariff on all WINES, CHAMPAGNES, & ALCOHOLIC PRODUCTS COMING OUT OF FRANCE AND OTHER E.U. REPRESENTED COUNTRIES. This will be great for the Wine and Champagne businesses in the U.S.».
Trump dice 50% sul whisky – scrive whisky e non whiskey, chissà perché? Forse un copia/incolla eurofono della sua segreteria – perché sarebbe un 25% su un 25% già esistente. Per i cultori della materia e della minuzia, è interessante anche di come per il Tycoon potrebbero beneficiarne le aziende americane di vino e Champagne – Champagne americano?!? Beh… tutto lo sparkling finisce nello stesso calderone con il nome più evocativo, ci mancherebbe, la prossima volta dirà American Prosecco… – ma, battute a parte (anche forse quelle di DJT), non c’è granché da scherzare.
Da Diageo -0,3% a Londra, Pernod Ricard -3,6% e Remy Cointreau -3,4% a Parigi, per arrivare addirittura alle azioni di Campari che in Piazza Affari milanese ha fatto ieri un -3,8% che va a sommarsi ai passivi degli ultimi giorni: il risultato dei vari botta e risposta sta abbattendo già migliaia, qualche milione, sul campo degli investimenti sperando in un prossimo rimbalzo. Stamani Suntory ha contenuto sulle borse asiatiche chiudendo solo con -0,58%.
Dove andremo, quindi? Per quanto riguarda il nostro settore, più che la guerra dei dazi fa paura la guerra di nervi perché l’instabilità causerà danni incalcolabili e il pesce grande che cade nella rete sarà solo il preludio ai tanti pesci più piccoli che faranno la stessa fine.
Probabilissimo che, almeno nelle cifre, sia la solita boutade del Polenta a stelle e strisce ma se anche i dazi americani dovessero interessare per il 25% sia gli spirits che i vini europei… allora soprattutto per questi ultimi sarebbe un danno difficile da quantificare ma ingente di sicuro.
Nell’intervento di ieri a Radio24 nella rubrica Focus economia, anche il presidente UIV Lamberto Frescobaldi, stimolato dalle domande di Barisoni, è stato perentorio. Gli USA sono il nostro miglior mercato – anche per la Francia sono numeri cruciali – e la gran parte dell’export italiano (2.200 milioni di euro totali) ha un prezzo medio di circa 7 euro a litro (€ 5,25 a bottiglia se facciamo l’equivalenza).
Al netto dei vini elitari (superitalians) che gli americani si bevono e proseguiranno a farlo con piacere, risulta lampante che la fetta considerevole dell’imbottigliato rimane nella cosiddetta fascia popular a un costo compreso fra i 4,00 e i 5,00 euro al pezzo per l’HoReCa. Considerando che, nell’export, la merce fa un passaggio intermedio da importatori e distributori, anche un dazio del 25% potrebbe portare il vino italiano a intaccare la soglia psicologica dei 5 dollari e devastare il nostro sistema a vantaggio di concorrenti interni o esteri come gli argentini o i cileni.
E mentre una cantina leader come Arnaldo Caprai dichiara di aver già trasferito oltreaoceano tutto il necessario per il 2026 – bravissimi ma non rappresentano il “sistema” – il ministro Tajani “ci prova” e allude a ipotetici scudi a difesa degli imprenditori nazionali. Il che sarebbe anche una bella ipotesi, se non fosse così difficile staccarsi dagli altri 26 “vagoni” del Treno dodeca-stellato per interesse prettamente nazionale.
Come scrivemmo pochi giorni fa, se Trump non la tocca piano può farci male e mettere in crisi il nostro sistema vitivinicolo già in difficoltà per mercati in stallo e tendenze verso la diminuzione dei consumi a scopo salutistico. Un’ulteriore riduzione del consumo potrebbe innescare così una parabola discendente e inesorabile (più per il vino che per i distillati).
A Bruxelles e Strasburgo serve quindi la massima cautela, per tutti i settori ma soprattutto per il comparto alcolico che oggi, nel 2025, potrebbe subire un danno definitivo.
Mercati alternativi, d’altro canto, non se ne vedono: il NordEuropa vive delle nostre stesse incertezze, la Cina ha rallentato da tempo, l’India è il futuro ma non certamente per il vino (tranne una fascia elitaria). L’unica speranza – imbarazzante… – rimarrebbe il “nemico” russo da tempo affezionato bevitore del Made in Italy ma che adesso è “confinato” e per il futuro potrebbe essere una valvola di sfogo ma non esaustiva.
L’Unione Europea deve fare attenzione, tanta attenzione, e con lei le maggiori organizzazioni consociative nazionali e internazionali che adesso devono dimostrare di prendere posizione a vera tutela del settore e non solo a convegni e seminari.
Per i tanti ursuliani è bene riflettere perché un’Europa troppo inchiodata sui suoi preconcetti (magari anche eticamente giusti) porterà inevitabilmente a un danno economico-sociale a catena e a cascata.
I tanti innamorati dei leader dal polso di ferro, è bene invece ricordino che il sovranismo è un’arma e, come tutte le armi, se decidi di mostrarla devi essere capace e pronto a utilizzarla. In Italia ne vediamo troppi che sbraitano e che alla lunga danneggeranno tutti quei protagonisti del lavoro imprenditoriale che, a parole, garantiscono di difendere. Gli USA sono potenti e possono anche permettersi di alzare la voce e giocarsi la partita. Nonostante le grandi potenzialità, rimaniamo una piccola nazione di un’Unione che esiste sulla carta ma non realmente in quegli aspetti che ti rendono realmente forte e credibile.
Se poi sostenere i sovranisti esteri serve per fare propaganda e parlare alla pancia dell’elettore per poi sedersi sulla poltrona di Roma… allora ok… ma l’elettore ricordi che se la maglia è troppo corta e si gonfiano troppo petto e pancia, può accadere che si scopra qualcosa sul posteriore.
La guerra di nervi è solo all’inizio, incrociamo le dita e stringiamo i glutei. Serve stabilità e senso di responsabilità.
[PB]
fonte: EU Commission, Il Sole 24 Ore, Ansa, Borsaitaliana.it
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