Le accise sul dealcolato provocano le prime frizioni fra mondo della distillazione e della vinificazione. Assodistil risponde a UIV.
C’era da immaginarselo che nel guazzabuglio dei dealcolati, fra intenti e dibattiti, regolamenti e regoline, tendenze che mutano, mercati che non rendono e spazi sempre più ristretti… alla fine i nodi arrivavano al pettine.
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Adesso il mondo dei distillati italiani pizzica quello del vino e Assodistil ha preso posizione seria e avversa contro quella di Unione Italiana Vini.
Premesse:
Il Ministro MASAF Lollobrigida ha sempre mostrato prurito verso i dealcolati – anche noi [ndr 1] – ma nel corso di questi ultimi mesi, volente o nolente, la sua integrità è parsa scalfirsi settimana dopo settimana – la nostra no [ndr 2] – sulla base dell’evoluzione politica ed economica.
Ad aprile, in occasione di Vinitaly, affermava: «Il dealcolato ha un possibile spazio importante di mercato, ma non c’è bisogno di chiamarlo come un prodotto che ha successo ed è identitario da cinquemila anni. Io ho una certezza: che sul vino tradizionale siamo una eccellenza. E il vino da cinquemila anni è frutto della natura e del lavoro dell’uomo con un percorso naturale che pone l’alcol, in quantità che va dal 4 al 20 per cento, come stabilizzatore di questa produzione. Dopodiché non è necessario chiamare vino una cosa che è fatta diversamente»… e giù con le rimostranze di buona parte dell’impresa vitivinicola.
A luglio (assemblea generale UIV) i primi cedimenti: «In questi giorni cominciamo a riunire il tavolo per le regole sui dealcolati. Non ho una posizione ideologica su questo, non voglio ostacolare la crescita delle imprese. Ragioniamo pragmaticamente, dobbiamo preservare la percezione della qualità del vino italiano e, in particolare sui nuovi mercati, capire come evitare il rischio di compromettere il posizionamento con prodotti dealcolati per cui la sfida della qualità non è facile».
Fine ottobre (10 giorni fa) ai festeggiamenti del ventesimo di Istituto Grandi Marchi, lo scricchiolio: «Faremo produrre i dealcolati in Italia perché tutto il mondo del vino li vuole ed è d’accordo. Noi che rappresentiamo il mondo della produzione ci allineiamo ma proverò a convincere tutti che questi prodotti non si possono chiamare vino».
Passa un giorno e il Ministro si trova davanti all’immediata presa di posizione di Unione Italiana Vini: «Per i vini dealcolati va autorizzato l’uso del termine “vino” come previsto dalla normativa comunitaria in materia. L’uso del termine “vino” va quindi esteso anche ai dealcolati».
Non solo, ma la querelle sulla dicitura, in realtà ha nascosto un aspetto ben più pregnante e cruciale: quello delle tasse. Il 15 ottobre, infatti, sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri è comparso un Decreto-Legge Economico-Fiscale con misure urgenti da applicare in favore degli Enti territoriali e, più sotto, il ddl Bilancio 2025 con il suo Documento programmatico.
Nel testo, fra le varie riforme, nella sezione “Accise” anche le “Semplificazioni sulla vendita di prodotti alcolici“. Testuale: «Si prevede un importante semplificazione per gli esercizi di vendita al minuto di alcolici (per esempio, i bar) per i quali la denuncia all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) sarà assorbita dalla (già prevista) comunicazione di avvio delle attività di vendita di prodotti alcolici assoggettati, da presentare allo Sportello unico per le attività produttive. Il rilascio della licenza sarà richiesto solo per alcune tipologie di deposito di prodotti alcolici e solo al di sopra di prestabiliti volumi minimi. (decreto-legge)»
Tutto qui? Eh no, ovviamente…
Perché nello schema del Decreto Legislativo proposto dal MEF pubblicato su qualche testata particolarmente attenta ed evidentemente vicina ai palazzi romani, all’articolo 33-ter è apparso questo:
«Art. 33-ter
(Dealcolazione del vino)1. L’ Agenzia delle dogane e dei monopoli può autorizzare i soggetti produttori di vino, che operano in regime di deposito fiscale, ad effettuare trattamenti del vino finalizzati esclusivamente a ridurne il titolo alcolometrico. L’autorizzazione è concessa ricorrendo le condizioni stabilite nel decreto di cui al comma 4 e purché il quantitativo annuo di alcole etilico, che si ritiene possa essere ottenuto a seguito dei predetti trattamenti, sia non superiore a 50 ettolitri di alcole anidro.
2. L’alcole etilico ottenuto a seguito delle lavorazioni di cui al comma 1 è sottoposto ad accisa.
3. Nei depositi in cui il soggetto è autorizzato a effettuare i trattamenti di cui al comma 1, l’alcole etilico ottenuto a seguito dei medesimi trattamenti è raccolto in un recipiente collettore, sigillato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, posto in diretta e stabile comunicazione con gli impianti in cui avvengono i trattamenti; nei medesimi depositi sono predisposte idonee attrezzature per la determinazione dei quantitativi di vino destinati a subire i trattamenti di cui al comma 1 e per l’accertamento diretto dell’alcole etilico ottenuto.
4. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo con particolare riguardo alle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione a effettuare i trattamenti di cui al comma 1 e alle modalità dei trattamenti e a quelle di contabilizzazione dell’alcole etilico ottenuto dal vino»
Conclusioni (per adesso…)
“Apriti cielo” per le associazioni di categoria vinicola… Cosa si sia detto a voce o per iscritto sui tavoli del MEF, del MASAF o di altra figura politica non sappiamo (e non ci interessa), il risultato sta nel comunicato di pochi giorni fa a firma UIV e indirizzato al MASAF:
«Secondo quanto risulta a Unione Italiana Vini (UIV), il Ministero dell’Economia ha ritirato le norme relative ai vini dealcolati recentemente inserite nella proposta di decreto legislativo in materia di accise. Ora, superato l’impasse, per UIV è necessario che il ministero dell’Agricoltura approvi al più presto il decreto tenendo conto degli elementi principali già discussi con la filiera.
Tra questi:
– il processo di dealcolizzazione che dovrà avvenire in locali appositamente dedicati;
– il divieto della pratica per i vini DOP/IGP;
– considerare la soluzione idroalcolica residua (acqua di rete, tra il 95% e il 99,9%) come rifiuto e quindi non sottoposta ad accise.UIV rileva inoltre come un Regolamento comunitario sancisca dal 2021 l’obbligo di chiamare questo prodotto “vino dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato“. Le imprese italiane chiedono perciò di poter operare alle stesse condizioni dei competitor europei, applicando la parola “vino” ai dealcolati.
Noi prendiamo quindi definitivamente atto che il settore vitivinicolo influente vuole che il dealcolato sia chiamato vino, lasciando da parte ogni ispirazione poetica della tradizione – non ci avranno mai! [ndr 3] – e puntando – li comprendiamo, obtorto collo [ndr 4] – a salvare il bilanci.
Ma non è spiritoitaliano.net ad essersi svegliato particolarmente male o a preoccuparsi davvero in questi giorni, bensì un’associazione importante e solida coma Assodistil, l’associazione che riunisce oltre 60 distillerie industriali e promuove il settore distillatorio.
Con una lettera indirizzata ai ministri Giorgetti (MEF), Lollobrigida (MASAF) e Pichetto Fratin (MASE), a firma del presidente Antonio Emaldi, Assodistil ha fatto sapere che il tanto prospettato e auspicato ritiro delle norme sui dealcolati nella proposta di decreto legislativo presenterebbe forti criticità in ambito economico, fiscale e ambientale.
Considerare la soluzione idroalcolica residua della dealcolazione come rifiuto (quindi non sottoposto ad accise), così come richiesto dai produttori di vino, porterebbe a non pochi rischi e inconvenienti:
«in primo luogo non vi è alcun dubbio che la miscela idroalcolica residuante dalla dealcolizzazione del vino, avendo un contenuto alcolico ben superiore all’1,2% e talora addirittura del 95%, rientri pienamente nella definizione di alcole e dunque negli oneri fiscali collegati alla produzione, circolazione e commercio di tale prodotto ai sensi della normativa vigente.
Il rispetto della legalità è alla base delle nostre valutazioni considerando che l’accisa sull’alcole etilico sorge al momento della sua fabbricazione e che pesa per oltre 10 euro per ogni litro, ne consegue che escludere dal circuito fiscale i produttori di vino dealcolato solleverebbe senza dubbio forti appetiti, con il rischio di creare frodi fiscali di enorme portata. Chiunque produce alcole etilico, anche se in via subordinata, deve quindi rispettare la stessa normativa: sarebbe infatti per noi incomprensibile che la medesima fattispecie sia sottoposta a due discipline completamente diverse, una che rientra tra gli obblighi tributari e l’altra esclusa».
Assodistil nella propria nota considera poi gli aspetti ambientali, ribadendo che la destinazione più logica e vantaggiosa dell’alcole ottenuto dalla dealcolizzazione del vino è senza dubbio quella dell’uso come bioetanolo per i carburanti, tenuto conto di come la produzione in Italia dello stesso bioetanolo è inferiore a quanto richiesto al 2030 per ottemperare agli obblighi previsti dalle vigenti disposizioni di legge.
Tale destinazione, pur mantenendo la natura “tributaria” del prodotto sarebbe perfettamente in linea con gli obiettivi di economia circolare intesa come valorizzazione energetica e riutilizzo dei materiali di scarto, che è oggetto della più recente legislazione italiana e comunitaria, e permetterebbe ai produttori di ottenere un ricavo da tale prodotto, anziché di dover sopportare un costo per il suo smaltimento in caso dovesse venire catalogato come un rifiuto.
Considerazioni finali di oggi
La sensazione è che quindi non sia tanto una battaglia da leggere come: “distillatori di grappa” vs “produttori di vino” ma bensì (perdonateci le licenze) come “trasformatori di alcol” vs “trasformatori dell’uva“.
La posta in gioco è molto più ampia di come la si possa immaginare e comprendiamo che ognuno possa guardare al suo orticello per salvaguardare la propria attività soprattutto in questa fase delicata (e chissà se e quando arriveranno pure dei dazi vista la nuova era “trampiana” appena cominciata).
La ragione per noi non sta tutta da una parte ma neppure a metà. Dove? Lasciamo fare… ma di una cosa siamo certi: noi non chiameremo mai “vino” ciò che è bibita dealcolata. Ad maiora.
fonte: AGEEI, Agricola.eu, Ansa, Assodistil, IlSole24Ore, UIV
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