Tra il mare e la transumanza il passo è assai breve. Abruzzo e Molise: vini di terre sommerse ed emerse.
DEMOCRAZIA DEL VINO: L’ENOTRENO
Continua il nostro viaggio virtuale e democratico a bordo dell’Enotreno. Un mezzo su cui siamo virtualmente seduti vicino e guardiamo il paesaggio dal finestrino con la narrazione semplice, schietta e professionale di Vanni Marchioni.
[si legge, più o meno, in: 4 minuti]
Come subito chiarito dall’autore, sarà un viaggio alla portata di tutti, perché il vino è per tutti e di tutti. Un claim che ispira all’uguaglianza di ogni sorta, una frase che accomuna ogni palato, ogni preparazione e ogni cultura. Serve voglia di semplicità, voglia di scoperta, quel giusto mood che vi farà apprezzare questa sintesi di vizi e virtù di ogni regione italiana.
Per ogni regione si racconta un solo vino, magari quello più rappresentativo a livello culturale o magari commerciale. A volte la selezione potrà apparire banale, in altre occasioni esattamente il contrario. Non necessariamente il portabandiera dovrà essere il migliore, il più blasonato. Nondimeno certamente il più caro. L’obiettivo è percepire la terra d’origine nel calice editoriale, il contenitore ideale del contenuto.
Dopo le Marche, proseguiamo il nostro itinerario rimanendo sul litorale adriatico: attraversiamo un’altra regione. Anzi, no, due regioni! Prego signore e signori, salite in carrozza, riparte l’Enotreno!
[ndr]
Abruzzo e… Molise
Intanto: mannaggia, ci risiamo! Sempre la stessa annosa questione, fin dai banchi di scuola. Abruzzo e Molise non sono la stessa regione, non raccontano la medesima storia. In particolare il Molise ha un affaccio sul mare da strapparsi i capelli: Petacciato, Montenero di Bisaccia, Termoli. Andate al mare in Molise, andate. Vi sfido a fare confusione, poi, dopo.
Ma, per comodità e convenzione, siccome a livello puramente enologico tante sono le analogie, le terrò assieme anche io.
E allora… non uno ma due
Con una breve ma concisa concessione che mi concederò: citerò non uno, ma – signore e signori – due, ben due vini. L’occasione è troppo ghiotta per non essere sfruttata. Anche perché come potrei non parlare di allevamenti ovini, nella fattispecie territoriale di questo meraviglioso pezzo d’Italia?
E potrei forse non parlar di Pecorino, di conseguenza? Lasciando a casa il Montepulciano? No, no…per fortuna, ancora una volta, Abruzzo e Molise possono stare assieme.
Partiamo dal Pecorino, dunque, che con le pecore ha ben poco a che fare. Molto più col mare. Il Pecorino, altro prodotto di pregressa comunicazione massiva, non solo può essere buono… può essere eccellente. Ha un corpo suadente, che induce a una beva fin troppo semplicistica per un prodotto che ha una mineralità così bella e spiccata. Ben percepibile. Freschezza gustativa. Sapidità. Ah, il mare…si sente il mare. E si chiama Pecorino, come avrei potuto non offrirvene un bicchiere?
Ha parenti stretti, tutti ideali in abbinamento a una buona amatriciana. Perché tra il mare e la transumanza il passo era assai breve, in questa faglia/versante.
Appena oltre la linea di confine tra la terra emersa e sommersa, ecco che i pascoli s’inerpicano fino ad altitudini importanti.
Montagne rocciose, aspre e affascinanti come gli “elefanti bianchi” di Hemingway (qui: o altrettanto probabilmente nel Vulture lucano), oggetto di un’improbabile sortita di caccia della quale si sa poco e niente. Più niente che poco. Ma abbastanza per stringere i nodi di una leggenda che si racconta ancora, in prossimità del fuoco invernale.
Ecco che davanti al camino, ci sta anche un arrosticino. O meglio: una gratella larga una quindicina di centimetri e lunga una quindicina di metri. Sulla quale si usano poggiare, in perfetta armonia estetica, un’infinità di piccoli spiedini di agnello, pecora e montone.
Tutti insieme, adagiati l’uno al fianco dell’altro, come fiammiferi in scatola. Lasciati lì, inerti e inermi, ad arrostire al punto giusto. Pronti per essere azzannati, stecchino in mano, caldi e fragranti. Che ne vogliono tanti. Perché tanti sono gli abitanti, emigrati ed emigranti che hanno fatto la storia d’Italia. Costruito il Duomo di Milano, esportato lo zafferano. Ma questa è un’altra storia.
Che cosa ci beviamo? Ma un Montepulciano, è chiaro. Un vino rosso scuro come il sangue venoso, corposo, epico, impegnativo. Capace di non sfigurare, al confronto di una tale distesa di carne alla brace. Carne ovina, pecorina, peraltro. Dal sapore forte, deciso; un “piatto” che necessita di un vino coi controterpeni e controantociani, per dirla tutta. Un gran prodotto, alle pendici del Gran Sasso.
Da non confondersi, mi raccomando, col Vino Nobile di Montepulciano. Che non c’entra niente, è un comune in Toscana. Un vino ottenuto da uve diverse: il Prugnolo gentile, che altro non è che un clone del Sangiovese grosso. No, il nostro Montepulciano abruzzese – coltivato cumunque in larga parte del sud Italia – è un vitigno franco, sincero, vero.
Non che l’omonimo Toscano non lo sia, certamente, è solo differente. Un vino gentile in Toscana, un vino caparbio e orgoglioso del proprio territorio montuoso, qui in Abruzzo.
Linee paesaggistiche tanto impervie quanto emozionanti, mozzafiato. Chissà che cosa ne pensava Hemingway…
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