di erbe e amari per l’aperitivo

L’abitudine tutta italiana dell’aperitivo ha radici storiche molto più profonde di quello che si possa pensare, ma… cosa ordinare al bancone di un bar prima di cena per “aperire” lo stomaco al pasto? Qualcosa di dolce o qualcosa di amaro? Qualcosa di forte? E perché?


Impossibile non conoscere il motivo Questa è l’ora senza pari, questa è l’ora del Campari diventato praticamente un jingle grazie a Fernando Crivelli del 1932. Sì ok, la recente Milano da bere e quella di un tempo ce l’abbiamo in mente tutti: cocktail coloratissimi, bar raffinati e bella gente che va a prendere una cosa al rientro dal lavoro. Non dobbiamo però credere che si dovesse aspettare il ‘900, perché l’uomo adottasse l’abitudine di sorseggiare qualcosa che stimolasse l’appetito.

Spirito Italiano la storia dell'aperitivo

Pare che già dal V secolo, il medico greco Ippocrate somministrasse ai suoi pazienti un vino, addizionato con spezie amarognole come assenzio, fiori di dittamo, ruta, in aiuto alla loro inappetenza.

Qualcosa di simile succedeva anche nella antica Roma, con il vino speziato Mulsum, che faceva da accompagnamento al Promulsis, l’aperitivo dei banchetti romani.

I frati erboristi del medioevo furono quelli a cui si deve riconoscere l’arte di tramandare queste buone vecchie maniere attraverso secoli bui, dove il volgo non poteva fare l’aperitivo, saltando spesso direttamente pasti interi.

La birra e il vino divennero per lo più bevande da bere per il sostentamento o durante i faticosi pellegrinaggi. I frati speziali capirono che erano le sostanze amarognole che trasmettevano appetito e preparavano il corpo ad accogliere il cibo. Questi vini speziati, normalmente con pepe, assenzio, miele e galanga, si chiamavano Claret o Ippocrasso o ancora Vino concio.

Spirito Italiano la storia dell'aperitivo
Alpinia galanga – foto Vengolis / CC BY-SA 4.0

In Italia, una fase importante del commercio dei prodotti di aperitivo si ebbe con l’ascesa del Vermouth di casa Carpano, a Torino. Dal 1786, generalizzando un po’, la produzione passò dalle mani degli speziali e dei farmacisti, a imprenditori come Carpano, Cinzano, Campari, Martini che ragionavano in termini di mercato e non più  di proprietà galeniche.

Nasce la liquoristica voluttuaria e l’aperitivo come lo immaginiamo in epoca moderna, come pausa rinfrescante prima di andare a mangiare. Parallelamente si sviluppa quel bellissimo movimento di scambio di suggestioni tra uomini d’affari, nobili e barman, che creano le basi dei primi grandi cocktail italiani, tra tutti l’Americano e il Negroni.


Le regole organolettiche dell’aperitivo sono abbastanza semplici, dovrebbe avere un tenore alcolico non troppo elevato per arrivare sobri alla cena. Le spezie amare che fanno da apripista del cibo, sono solitamente unite a frutta e aromi agrumati, che le rendono più piacevoli. Questo spiega il successo di tutto quel filone di bitter aromatici, da “spritzare” nell’ottica dei gusti contemporanei, dove i sapori dolci e i bassi tenori alcolici riscuotono le preferenze del pubblico.


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photo credit: bertrand71


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