Il poeta pastore e il vino di Biblo
SPIRITI LETTERARI
Se mi chiederete quale scritto di Esiodo io brami che innanzi agli altri sia letto e studiato, risponderò franco, Le opere e i Giorni… Oh che ingenuità, che vaghezza, che soavità!
(Giacomo Leopardi, prefazione alla Titanomachia di Esiodo)
Chissà quale emozione avrebbe suscitato questa attestazione di stima da parte di uno dei giganti della poesia di ogni tempo in Esiodo, il poeta-pastore che per primo ha parlato di sé nelle sue liriche; il cantore del lavoro, della giustizia e della pace, considerato il padre (insieme ad Omero) della Poesia occidentale. Ne sarebbe stato certo lusingato senza tuttavia considerarsi da meno, lui che, pur essendo un umile pastore, era stato incoronato poeta per volontà divina.
Esiodo, figlio di un mercante di nobile stirpe costretto ad abbandonare la ricca e vivace regione Eolica della Grecia, probabilmente a causa di forti tracolli economici, nasce (nell’VIII secolo a.C.) ad Ascra, un piccolo paesucolo della Beozia abitato da pastori, che lo stesso poeta definisce:
«una misera borgata, trista d’inverno, penosa d’estate e non mai piacevole».
Ma questa “misera borgata” sorgeva alle pendici del mitico Monte Elicona, luogo sacro alle Muse, lungo la strada che bisognava percorrere per giungere alla vetta. Ed è proprio qui che Esiodo trova l’ispirazione per diventare poeta, come apprendiamo da lui stesso:
«(le Muse) una volta insegnarono il bel canto ad Esiodo mentre pasceva gli agnelli alle falde del santissimo Elicona».
Il calendario agricolo
Poeta degli umili ma con aspirazioni universali, Esiodo rappresenta negli Erga (così il titolo originario dell’opera) quella società composta essenzialmente da contadini e da un’aristocrazia di proprietari terrieri saldamente ancorata ai valori tradizionali della terra, della fatica e del lavoro come elementi imprescindibili dell’esistenza.
Non stupisce quindi che oltre 200 versi del Poema siano dedicati ad una sorta di calendario agricolo con una serie di consigli pratici evidentemente rivolti non tanto a contadini già perfettamente a conoscenza di come affrontare il lavoro nei campi nel susseguirsi delle stagioni bensì alla nascente aristocrazia terriera con l’intento di fornire un bagaglio di buone pratiche da poter utilizzare.
In questa sezione “agricola”, dopo aver fornito consigli sull’aratura e mietitura, il Poeta scorre le stagioni a partire dall’autunno cioè quando:
- «s’acquieta la forza del sole che brucia e della vampa che spreme il sudore, e manda le piogge autunnali Zeus possente»,
passando per l’inverno:
- «allora che il gelo l’uom dal lavoro distoglie; allora l’uomo solerte cura molto la casa»;
poi la primavera nel momento in cui:
- «Pandionide rondine col pianto suo mattutino, si lancia verso la luce della primavera che sorge di nuovo per gli uomini; precedila allora e pota le viti; è la cosa migliore».
Infine, l’estate, descritta ancora una volta con versi meravigliosi che contengono un vero e proprio inno al famoso vino di Biblo e che vale la pena riportare per intero:
- «Quando il cardo fiorisce e la cicala canora stando sull’albero
l’acuto suo canto riversa fitta da sotto le ali,
nella pesante stagione dell’estate,
allora più grasse sono le capre, il vino è migliore,
le donne più ardenti, ma sono fiacchi gli uomini
perché Sirio brucia la testa e i ginocchi
e secco è il corpo per via della vampa.
- Ma allora è bello avere una roccia ombrosa e vino di Biblo
e una focaccia col latte e latte di capra che più non allatta,
e carne di giovenca nutrita nel bosco,
che ancora non abbia figliato, e di primi nati capretti;
- e bere il nero vino sedendo all’ombra, saziato del tuo festino,
la faccia volta incontro al veloce soffio di Zefiro;
e d’una fonte che scorre perenne e pura
tre parti d’acqua versare, la quarta di vino».
Il Vino di Biblo
Parlare del vino di Biblo, come sempre accade quando si entra nella storia e nella geografia del dono di Dioniso, significa fare un viaggio nel tempo e nello spazio.
Siamo in presenza di uno dei vini più famosi e rinomati della Grecia: è citato ad esempio dal poeta ed esperto enogastronomo Archestrato di Gela (seconda metà del IV sec. a.C.) nei frammenti che compongono il suo Poema del Buongustaio – opera che sarà oggetto di uno dei prossimi appuntamenti di Spiriti letterari – tramandati grazie all’inesauribile miniera di informazioni rappresentata dai Dotti a Banchetto di Ateneo di Naucrati, scrittore dell’età imperiale romana.
Un vino di Biblo è citato anche dal poeta siracusano Teocrito (IV-III sec. a.C.) nell’Idillio XIV, quello di Eschine e Tionico.
Incerta resta l’area di origine del vino di Biblo; ovviamente è suggestivo il richiamo alla città fenicia di Biblo (ora Jbeil, nel Libano settentrionale), territorio strategico per la nascita e la diffusione della viticoltura in una zona, quella della valle della Bekaa, ancora oggi produttrice di ottimi vini, la maggioranza dei quali a bacca rossa da vitigni internazionali.
Una seconda ipotesi potrebbe riportare invece ai Monti Biblini nella Tracia, regione storica della Grecia che oggi corrisponde al territorio compreso tra Bulgaria meridionale, Grecia di nord-est e Turchia europea. Qui sicuramente l’area di riferimento per il vino è la Bulgaria che proprio nella sua zona meridionale vanta i migliori vini a bacca rossa.
Infine, si segnala l’esistenza di un’uva detta biblina originaria della Tracia che attraverso l’assimilazione – ancora una volta per merito di una testimonianza del solito Ateneo di Naucrati – con l’uva Eileos da cui si ricavava l’antico vino Pollio, ci conduce direttamente ad una delle più importanti DOC siciliane, cioè quella del Moscato di Siracusa.
Le edizioni del testo
I bellissimi versi che compongono le Opere e i Giorni di Esiodo per fortuna hanno attraversato quasi indenni le tormentate vicende successive alla fine del mondo antico e ci sono stati tramandati grazie a manoscritti del X, XII e XIII secolo. Inevitabile citare l’editio princeps del testo che uscì dai torchi di Demetrio Calcondila a Milano, forse nel 1493; ma rimane superba l’edizione aldina del 1495 che, forte del leggendario logo composto da ancora e delfino, ci ricorda come sia stata la mano sicura e raffinata di Aldo Manuzio a imprimere i fogli con l’inchiostro.
Se amiamo la poesia e tutto ciò che ruota intorno all’umano, non possiamo fare a meno di confrontarci con questo straordinario poema: vi sbalordirà constatare come versi così antichi possano essere ancora incredibilmente attuali; leggendoli in compagnia di un corposo vino rosso oppure facendo accarezzare il nostro palato dalle eleganti e dolci note del Moscato di Siracusa, è probabile che, per magia, si possa palesare lo “spirito letterario” che si cela in ciascuno di noi.
Per immergerci nei versi di Esiodo, tra le numerose edizioni, io ho utilizzato quella con le traduzioni di Graziano Arrighetti (Garzanti, Milano 2006) che mi sento di consigliarvi perché la resa in italiano è eccellente e fedele alla versione originale e in più, non me ne voglia il lettore, mi spinge nell’intento anche un motivo affettivo essendo stato il traduttore mio indimenticabile professore di Papirologia all’Università di Pisa.
Opere e giorni, Esiodo, Garzanti, ISBN 9788811363231
prendete appunto:
l’opera | Opere e giorni |
l’autore | Esiodo |
la bevanda | Vino |
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