Il Comitato europeo Beating Cancer approva uno studio che adesso allarma associazioni e professionisti del vino. Possibile far capire le differenza fra abuso e consumo?
Proseguono i forti timori delle associazioni a tutela del settore vitivinicolo per il dibattito a livello europeo sulla tutela della salute dei cittadini.
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La difesa della salute è certamente un valore imprescindibile e ben vengano i dibattiti, gli incontri e le direttive che mettano in atto tutte quelle operazioni che possano migliorare la qualità della vita nell’Unione.
Ciò non toglie che servano ampie riflessioni sulla risolutezza e la portata delle azioni da intraprendere nonché sul significato stesso di qualità della vita.
Noi che da queste pagine diffondiamo l’assaggio del vino e dei distillati come una delle più intriganti vie edonistiche dell’esistenza, non possiamo non concordare con quegli enti e/o associazioni che mostrano perplessità e apprensione sulle decisioni che saranno prese per la tutela della salute contro un consumo dell’alcol non responsabile.
A febbraio scorso un nostro articolo evidenziò i rischi di malintesi nell’interpretazione del concetto di corretto e consapevole consumo delle bevande spiritose alla luce del nuovo e prioritario Piano europeo di lotta contro il cancro della Commissione Von der Leyen.
Sono passati dieci mesi, l’iter attuativo sta procedendo e pochissimi giorni fa è stato approvato dal Comitato speciale europeo per la lotta al cancro (BECA) lo studio Strengthening Europe in the fight against cancer.
29 voti a favore, 1 contrario e 4 astenuti nella votazione finale per l’assenso a quanto espresso nel sostanzioso documento di 165 pagine presentato al Comitato da Véronique Trillet-Lenoir.
Facciamo volutamente da eco a Unione Italiana Vini che nell’immediata vigilia, attraverso il proprio segretario Paolo Castelletti, aveva ammonito: «L’Europa ha il dovere di proporre politiche volte a minimizzare i rischi correlati alla malattia ma a nostro avviso non è censurando il consumo, in ogni genere e grado, che si risolve il problema.
Occorre tenere conto delle specificità del vino, che in Italia – e non solo – è sinonimo di moderazione: siamo, secondo Eurostat, tra i principali consumatori del Continente e allo stesso tempo ultimi in Europa, dopo Cipro, per episodi di consumo “pesante” di alcol.
Non possiamo perciò accettare che nel report non vi sia il minimo cenno alla parola vino e a una cultura di un consumo responsabile che è l’antitesi del binge-drinking».
E concordiamo noi spiritoitaliano.net con UIV quando l’Unione (Italiana Vini) sottolinea che il rischio di cancro non possa essere valutato in maniera isolata ma nel contesto del modello culturale, alimentare, delle quantità del bere e dello stile di vita.
Dopo l’approvazione del testo in Comitato BECA, ecco che i timori sono aumentati e diventerà cruciale la sessione plenaria prevista tra un paio di mesi che potrebbe (aggiungiamo: molto probabilmente) confermare quanto già suffragato.
Per UIV e gli imprenditori europei del Comité vins, l’ipotesi fatta da Strengthening Europe in the fight against cancer che non esista un “livello sicuro di consumo”, si basa su un unico studio fuorviante e semplicistico che non tiene conto dei modelli di consumo e di altri fattori legati allo stile di vita.
Ancora Paolo Castelletti: «Il voto emerso conferma i timori della vigilia e pone in serio pericolo un’economia, una cultura e uno stile di vita fondamentali per l’Italia. Se il documento dovesse essere confermato, l’indirizzo politico dato dal Parlamento si rivelerebbe disastroso per la competitività del vino europeo, con forti tagli in materia di promozione e marketing, oltre a un aumento della tassazione.
Inutile ribadire ulteriormente l’iniquità di un documento che accomuna un prodotto simbolo della Dieta mediterranea con il binge-drinking.
Basterebbe verificare l’ultimo rapporto Eurostat per capire come i Paesi europei con il maggior consumo pro-capite di vino siano contemporaneamente in coda alle classifiche del bere compulsivo.
Serve ora che le nostre istituzioni facciano quadrato in ogni sede assieme a quelle dei principali Paesi produttori del Vecchio Continente».
Impossibile non raccogliere la preoccupazione di chi tutela il lavoro in un settore così strategico per l’Italia, primo Paese produttore ed esportatore mondiale di vino e parte principalmente attiva nella vitivinicoltura dell’Unione dove sono complessivamente oltre 3,2 i milioni di ettari vitati e 2,5 i milioni di aziende vitivinicole con circa 3 milioni di posti di lavoro diretti a cui si aggiungono quelli indiretti.
fonti: European Union – UIV
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