C’era una volta… una ragazza etrusca fra l’antico Egitto e la cervogia di Nerone.
I magnifici poteri delle favole
SPIRITO LEGGERO
Ha avuto molto successo sulle nostre pagine la storia (o meglio: la fiaba) millenaria della birra con cui Mauro Bonutti ne racconta, in linea temporale, l’evoluzione sulla base dei reperti ritrovati e dell’interpretazione data loro da archeologi e studiosi.
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A metà fra favola e realtà, con pochissimi testi scritti e iconografie, quella antichissima della birra è una storia che potrebbe rimodificarsi sulla base di futuri ritrovamenti e conseguenti nuovi studi.
Come per altri ambiti, il Mar Mediterraneo pare essere stato la naturale via di trasporto degli oggetti e della cultura birraria.
Dagli antichi Egizi, la fermentazione dei cereali è arrivata fino alle province romane e all’importazione di una bevanda, la “cervogia”, apprezzatisima anche da Nerone seppur il vino fosse considerato come il vero “nettare” per la gens patrizia e il masculum.
Nel mezzo… un importante ruolo svolto dalle civiltà italiche pre-romane, tecniche tramandate a noi oggi sconosciute e… una ragazza etrusca, la sua tomba e una statuetta egizia…
Se gradite, come sempre, potete stappare subito e sorseggiare già durante la lettura della fiaba ma… fatelo sempre con “spirito leggero” come piace a spiritoitaliano.net.
Buona lettura! [ndr]
Lo spirito leggero arriva finalmente sulla terra italica: la ragazza della birra
Mi piaccion le fiabe, raccontane altre…
Siamo partiti da qua e da qua vogliamo proseguire. Abbiamo capito che senza la presenza di storie Instagram o altri social i confini delle nostre scoperte sono alquanto confusi, attenuati.
Sono uno sforzo di ricostruzione sulla base di semplici indizi, con una veridicità che è tutta da dimostrare, ma è proprio questo che ci piace, l’andare a giocare, a mettere il naso dove i profumi sono difficili da riconoscere.
Ci eravamo fermati nel basso Mar Mediterraneo ma ora il percorso della storia, come si studia a scuola, ci fa risalire la corrente.
Un viaggio lungo il Mediterraneo
Salutiamo di corsa i nostri amici Greci, perché dalle loro parti c’è poco da raccontare, terreno e clima non sono proprio adatti al beneamato orzo. Si salva solo la vite e la birra che arriva è frutto più che altro delle pratiche commerciali.
Al limite, come effettiva produzione, ritroviamo qualcosa sull’isola di Creta dove veniva prodotta una birra chiamata “burton” e consumata in quantità praticamente pari al vino. Tant’è che nei reperti storici di Cnosso troviamo varie riproduzioni che rappresentano sia l’orzo che la burton, una bevanda che si offriva in onore al sacro Toro nella epica reggia di Minosse e bevuta in quantità ingente dalle danzatrici, dagli atleti e da tutti coloro che praticavano il culto della Tauromachia.
Ma è meglio andare oltre e raggiungere subito terre a noi più vicine, perché ormai sta arrivando il tempo dell’approdo in terra italica dell’eroe omerico Enea e i nostri “amici” Romolo e Remo sono pronti a irrompere subito dopo. Nl frattempo…
Favola di una ragazza ma anche di un vaso della birra
La notizia non ha preso le prime pagine dei giornali, e proprio per questo piace a noi. Ci spostiamo finalmente in Italia, a Vulci, antica città etrusca in provincia di Viterbo.
E’ da qui che partiamo per la nostra nuova favola perché è qui è avvenuto il ritrovamento. In una necropoli etrusca, all’interno di una tomba molto ben conservata, tra le tante cose viene ritrovato lo scheletro di quella che risulta essere una giovane donna, una ragazza, accanto a una statuetta in balsamo rappresentante una figura femminile, accosciata davanti a un grande vaso.
Figura che ricorda fin troppo da vicino le immagini già viste tante volte in precedenza tra Mesopotamia ed Egitto rappresentanti la produzione della tanto amata bevanda fermentata oggi nota con il nome di birra.
Siamo però in Italia, siamo nella patria del vino, quanti conoscono la birra? La confusione ci assale, c’è già chi vuole imporsi e chiamarla invece “Ragazza del vino”… Che facciamo?
Facciamo che intanto prendiamo atto che la scoperta è importante, perchè dimostra ancora una volta l’interesse nei confronti delle bevande fermentate in genere nella vita quotidiana di tutti i popoli della storia, e le differenze alla fine stanno solo nelle materie prime disponibili.
E poi lanciamo il sondaggio (o meglio come al solito la colonna sonora) per decidere se questa vada chiamata “La ragazza della birra” o invece “La ragazza del vino” (o se invece custodiva semplicemente il frumento con cui poi fare il pane, qualcosa altro…).
In fin dei conti, come abbiamo sempre detto, è tutto un gioco, è solo una favola, vera tanto quanto noi vogliamo crederci o ancora meglio “vera soltanto a metà“, come ci suggerisce la nostra colonna sonora di oggi…
Ogni favola è un gioco
che si fa con il tempo
ed è vera soltanto a metà.La puoi vivere tutta
in un solo momento
è una favola e non è realtà.Ogni favola è un gioco,
è una storia inventata
ed è vera soltanto a metà.E fa il giro del mondo
e chissà dove è nata,
è una favola e non è realtà.
Ricapitolando, ci troviamo in piena terra etrusca, cultura ancora misteriosa, di cui non sappiamo ancora tante cose, non conosciamo bene la scrittura ad esempio, per cui la fantasia può sbizzarrirsi, anche perché in questo caso non si è riusciti a trovare nessun resto organico contenuto all’interno da poter analizzare.
Rimaniamo allora semplicemente nel campo dei dati certi: l’origine della statuetta è certamente egizia, e la presunta copertura in pelle del vaso rimanda sicuramente ai processi fermentativi, dove il nostro ignoto mosto – di …? – era sigillato solo parzialmente per lasciare lo spazio alla allora ignota fuoriuscita di anidride carbonica.
La datazione presunta risale al VI secolo a.C. e qualcuno, mosso alla solita partigiana euforia, spinge per considerarlo il primo esempio di birra non solo in Italia ma addirittura in Europa!
Bello, se non fosse che, risalendo la strada di appena qualche centinaio di chilometri e rimanendo ben al di sotto delle Alpi, a Pombia, in provincia di Novara, troviamo anche qui la nostra “solita” tomba ben conservata, dove non c’è nessuna ragazza, ma stavolta invece il contenitore in terracotta rimasto intatto presenta al suo interno considerevoli residui di una polvere rossastra-marrone.
Trattandosi di un simil-bicchiere, mentre tutti urlano subito entusiasti: “Al vino, al vino!”. Le analisi riportano invece trattarsi di un composto con oltre il 90% di cereali e altri sostanze vegetali tra le quali addirittura resti di luppolo… per cui rimane poco da discutere in questo caso: è birra, che diventa di conseguenza bevanda ben nota anche in Italia al tempo, tanto da essere accompagnamento beneaugurale nel viaggio verso l’aldilà.
Per la nostra ludica gioia – e con un po’ di sadica perfidia che nella storia non manca mai… – siamo anche qui datati intorno alla metà del VI secolo a.C. (giorno più giorno meno…), giusto per ricordare nuovamente il nostro fil rouge, che è tutto un gioco, anche se il primato europeo, condiviso o meno, non è per il momento in discussione (prossime scoperte permettendo).
Notizia molto interessante perché oltre a cambiare le vecchie concezioni storiche, retrodata non solo il consumo di birre nella penisola prima dell’arrivo da altri paesi più o meno lontani, ma mette le coordinate anche sulla stessa produzione in terra italica del prodotto.
Sperimentazioni…
Vengono quindi smentite le teorie sullo scarso consumo prima dell’approdo dei Romani in Gran Bretagna e non si deve aspettare addirittura l’arrivo dal nord dei conquistatori germanici al cadere dell’impero romano (quando siamo già qualche centinaio di anni dopo Cristo).
Ma (visto che la abbiamo sempre continuata a chiamare in questo modo) come era questa “birra”? Tra le due versioni stranamente l’unica per cui si sono ricavate alcune – come sempre incerte – notizie, è quella etrusca, approfonditamente studiata da un team di grandi birrai e archeologi – come nel caso della Ninkasi sumera – allo scopo di provare a riprodurla.
Il team era composto da alcune nostre vecchie conoscenze, come Leonardo Di Vincenzo (ex Birra del Borgo), Teo Musso (Baladin) con l’aggiunta internazionale di Sam Calagione (Dogfish Head) e la consulenza di vari esperti come il Prof. Patrick Mc Govern (Università della Pennsylvania).
Che si sia trattato di una semplice operazione di marketing piuttosto che di quello che ci piace definire come un “bel gioco” (o una “bella favola“), fatto sta che gli ingredienti e la preparazione non sono certo stati presi a caso ma solo dopo accurate ricerche.
Studi approfonditi hanno permesso di ottenere una sorta di “minestrone” (che qualche giudice stellato che impera nel mondo della televisione non avrebbe esitato a definire come un “mappazzone”) composto, tra le altre cose, da nocciole, melograno, miele, resina, uva passa, grano della varietà Saragolla (cereale antico genere Triticum), ovvero tutte materie prime che non mancavano nelle dispense etrusche.
Il tutto fatto poi fermentare in tre maniere diverse dai tre protagonisti: botti di legno, anfore in terracotta e contenitori in rame per ottenere tre diverse declinazioni dello stesso esperimento.
Nelle difficoltà di recuperare questi prodotti oneshot, la nostra sete di conoscenza ci ha permesso di mettere le mani sulla Etrusca di Birra del Borgo, che abbiamo quindi avuto modo di testare dal vero.
Che dire? Un tentativo di immersione in un mondo ancestrale, in un prodotto che non può che essere completamente diverso da quanto conosciamo e da quanto possiamo immaginare, ma che affrontato con le dovute cautele può portare a piacevoli sorprese.
Al naso non è propriamente intrigante, c’è uno spunto pungente tra l’acetone e l’aceto che pervade i sensi, arrotondato a un pot-pourri vegetale cerealicolo di difficile definizione.
In bocca l’acidità si fa più tenue ed elegante con note fruttate e tostate che completano la bevuta. Un giochino inconsueto ma interessante il cui limite è la non ripetitibilità a meno di trovare ancora qualche esemplare residuo in circolazione, a questo punto con qualche ulteriore annetto di “decantazione” sul groppone: solo per provare un’esperienza diversa, un approccio a qualcosa che probabilmente c’era tanti anni fa ma che non ha niente a che vedere con ciò che conosciamo e beviamo oggi.
de patriciis et plebeiis
Nel frattempo, tra una sorsata e l’altra, la nostra nuova piccola favoletta continua, i tempi storici sono sempre gli stessi, il territorio è solo appena qualche chilometro più in giù: le fiabe non finiscono mai, e i Sette re di Roma sono già belli pronti che ci aspettano: Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio… e ci fermiamo qui perché è con quest’ultimo che iniziamo a intrecciarci con gli Etruschi e quindi torniamo al punto in cui ci eravamo fermati.
Infatti, per affrontare in maniera corretta il mondo romano dobbiamo aver ben presente le favole appena raccontate. Come abbiamo potuto vedere la storia della birra in Italia è in realtà un mito tutto da sfatare, che nonostante quanto si possa pensare e sia stato effettivamente tramandato, viaggia sempre in parallelo con quella dell’uva e non in maniera trascurabile.
Quel che è comunque certo è che la bevanda più consumata nell’antica Roma era il vino, verso cui si sviluppò tutto un culto con tanto di divinità collegata, il dio Bacco.
Le birra passò in secondo piano, ma non venne mai dimenticata, dato che era una delle poche fonti sicure di acqua potabile e molto in uso soprattutto nei ceti popolari.
La questione fondamentale è appunto che il costo di uva e vino era circa dieci volte superiore a quello di cereale e birra. Nelle classi agiate (quelle che lasciano le tracce scritte nei libri di storia) il consumo fu completamente sbilanciato a favore del vino che fu la bevanda d’elite (convinzione rafforzata dal fatto che un prodotto derivato da una materia prima più pregiata deve per forza corrispondere a un prodotto di qualità superiore), più esclusivo.
Dall’altro lato abbiamo invece una controparte plebea e pagana, proveniente nella maggior parte dei casi dai confini lontani dell’impero, con una bevanda oltretutto molto apprezzata dalle donne visto il proliferare delle credenze per cui la birra oltre a essere molto utilizzata in cosmesi, curava varie malattie e soprattutto favoriva la produzione di latte durante la maternità (come tramandato dalla rinomata scuola medica egizia). Di conseguenza bevanda da femmine e ben poco virile!
Lo storico Tacito nell’87 d.C. la soprannomina “vinus corruttus” e tutti i testi importanti dell’epoca non la degnano di considerazione, ma sottotraccia, senza dare troppo nell’occhio perché si rischiava diventare mal visti, il consumo non si fermò di certo.
Risulta che ne facesse largo uso Nerone, che importava grandi quantità di “cervogia” dalla penisola iberica, dove fece trasferire per lunghi anni come governatore il comandante Marco Salvio Otone: ufficialmente per gli approvvigionamenti della bevanda e ufficiosamente per avere via libera con la di cui moglie Poppea…
Di fondamentale importanza è poi la figura di Gneo Giulio Agricola (tra l’altro suocero di Tacito), che in vari anni come governatore della Britannia ebbe modo di conoscere e apprezzare le notevoli e considerevoli produzioni locali. Al suo ritorno in Roma – nello stesso periodo in cui il sopracitato suocero definiva la bevanda “barbaro vino d‘orzo” – si portò dietro tre mastri birrai del posto e fondò all’interno delle mura della capitale la prima taberna dedicata allo spaccio e consumo di birra – considerato il primo vero pub ufficiale della storia -, con alterne vicende.
Da quel momento in poi (in una continua commistione di nobile e plebeo, sacro e profano, visibile e nascosto) nessuno riuscì più a frenare il consumo della birra, tantopiù che i famosi legionari romani, sempre in giro per controllare i vasti possedimenti dell’impero, ne conobbero varietà fino ad allora sconosciute, nuove tipologie, ovunque si spostassero nelle loro mansioni.
E poi…
A questo punto, capite che la favola comincia a lasciare il posto alla storia, iniziamo ad avere fonti scritte a supporto delle varie tesi, per cui dobbiamo giocoforza fermarci, in quanto la cronaca non consente più voli e improvvisazioni.
Ma chissà, di cose a raccontare ce ne sarebbero ancora tante…
Ogni favola è un gioco
che finisce se senti…
Tutti vissero felici e contenti
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