Giovanni Manetti alla guida del secolare Consorzio Chianti Classico verso il futuro, fra ruolo istituzionale e cuore: senso di responsabilità e dedizione.
IL SENSO DELLA VITE: STORIE DI PERSONAGGI
Sono molto affezionata a questa rubrica, “Il senso della vite” mi interfaccia con figure estremamente rappresentative di un mondo straordinario ma, soprattutto, mi pone davanti a donne e uomini dalla personalità vera, con quel carattere e quel carisma che sanno trasmetterti anche con pochi gesti, con parole o minimi sguardi così preziosi per chi li riesce a cogliere.
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Anche stavolta mi sono concentrata di più sull’aspetto umano del protagonista perché, in fondo, è quello che davvero cerchiamo. E anche stavolta sono bastati pochi dettagli per comprendere che, prima dell’incarico istituzionale c’è un’esperienza di vita, prima di una mente e un braccio operativi ci sono il cuore e la memoria.
Il tempo a disposizione era poco, ma ho voluto sfruttare l’occasione dell’evento più rappresentativo di un Marchio per intervistarne (anche soltanto brevemente) colui che ne riveste la leadership e che, con garbo e signorilità, si è messo totalmente a nostra disposizione per il tempo necessario.
Giovanni Manetti è dal 2018 il presidente del Consorzio Vino Chianti Classico, il più antico d’Italia che festeggia quest’anno il centenario della sua fondazione. Un traguardo importantissimo per una realtà che rappresenta un territorio così rilevante e famoso in tutto il mondo e che ha come scopo la tutela e la promozione del marchio del Gallo Nero.
Un Q&A veloce all’interno della Collection 2024 della Leopolda di Firenze dove, ovviamente, non sono mancati quegli spunti che cercavamo per il nostro contributo su spiritoitaliano.net.
«Presidente Manetti, cosa si prova entrando nel foyer della Stazione Leopolda e vedere il cartellone che racconta di lei vicino a quelli di chi l’ha preceduto (leggi l’elenco dei presidenti del Consorzio), a partire da Bettino Ricasoli?»
«Per me è stata una sorpresa perché non ne ero assolutamente a conoscenza: essere lì con tali predecessori mi suscita un forte senso di responsabilità, molto di più che l’orgoglio di esserci.
Parlo della responsabilità di essere alla guida di un’associazione così importante, antica e contemporanea allo stesso tempo, i cui obiettivi sono sempre e comunque quelli di proteggere il lavoro dell’agricoltore e promuoverlo in giro per il mondo, garantendo remunerabilità a tutti, quindi in questo senso sento davvero l’onere di una missione da continuare.
Quello che mi interessa di più è la ricerca del consenso tra i produttori, cercando di rimanere nella tradizione ma con un occhio al futuro, come per esempio nell’ideazione delle Unità Geografiche Aggiuntive, indispensabili per dare un taglio sempre più territoriale alla produzione».
Mi mostra poi con soddisfazione ed orgoglio, una foto che compone i tabelloni all’entrata e ne racconta la storia:
«Questa foto fu scattata nel 1956, anno in cui ci fu una tremenda gelata nel territorio del Chianti Classico accompagnata anche dagli esodi dalla campagna verso le città.
A causa di questo anno terribile, il Consorzio del Chianti Classico organizzò un convegno a Firenze, invitando tutti i più grandi esperti di economia e agronomia e scienziati di ogni genere che arrivarono insieme anche a ben sei ministri del governo dell’epoca e venti parlamentari per discutere di questo scenario così preoccupante.
Capisce quindi che i miei predecessori sono stati veramente dei personaggi di rilievo per cui è una sfida non facile quella di essere alla loro altezza».
Mi rendo conto di provare una strana emozione ascoltando questo racconto proprio da lui, considerando anche il fatto che molti non sono a conoscenza di questo episodio di quasi 70 anni fa ma così rappresentativo e, se vogliamo, epocale.
Vado poi sull’attualità, su questa Collection: un’anteprima e al tempo stesso una vera festa del Gallo nero con numerosi i partecipanti tra il pubblico, la stampa e gli espositori a conferma di una platea molto interessata che senza dubbio contribuisce a dare soddisfazione a lui e a chi lavora nel Consorzio.
«I fatti ci testimoniano che la Toscana è sempre stata un passo avanti – continua con orgoglio – creando nel 1716 il prototipo della prima DOC e nel 1924 il primo consorzio italiano».
«Quanto è servita l’esperienza della sua azienda Fontodi di Panzano per riuscire a coordinare il lavoro da presidente?»
«Panzano è sempre stato determinante come un genius loci: anche prima del 1924 era presente un’associazione di agricoltori e il primo distretto biologico è nato a Panzano come modello positivo per l’espansione del Chianti Classico. Sono sicuro che provenire da questo territorio sia stato molto formativo per me, anche grazie all’esperienza pluriennale come presidente dell’Unione viticoltori proprio qui».
Conclude con un cenno alla lungimiranza del passato, un valore che deve rimanere anche per le prossime sfide: il suo è un dovere sentito e non nasconde una dedizione totale verso questa associazione, il desiderio di fare bene e di garantire il futuro del Consorzio.
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