Dalla collina de l’Hermitage, un syrah di riferimento mondiale: i 23 anni di Hermitage AOC La Chapelle 2001 Paul Jaboulet Ainè.
EMOZIONI D’ANNATA
Siamo in estate, le serate in compagnia si moltiplicano e la voglia di passare momenti di assoluto piacere diventa necessità.
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Il “piacere” può arrivare da ovunque, il benessere (per come lo intendiamo noi) abbraccia in modo asintotico le sensazioni che ci arrivano da vari contesti. Se parliamo di piacere, come non pensare alla compagnia giusta, all’occasione giusta, alla bottiglia giusta da mettere delicatamente sul tavolo dopo lunghi anni di riposo in cantina?
Lo farete quest’estate? Vi auguriamo di sì ed è per questo che torna con noi oggi Bernardo Coresi, l’uomo dei “colli mozzati“, colui che, con semplicità e senza supponenza, racconta le sue “Emozioni d’annata” da bottiglie che si aprono quando si ritiene arrivato il giusto momento ma non per stato evolutivo del vino bensì per stato d’animo umano.
Sono spesso etichette epiche e che diventano tali nel momento in cui vincono la sfida del tempo ma che non devono mai sottrarsi al loro compito di bagnare le labbra di chi necessita di piacere universale.
Ventitre anni fa fu imbottigliata in Côte Rôtie… avanti Bernardo e buona lettura a voi.
[la redazione]
Emozioni d’annata: Hermitage La Chapelle 2001 Paul Jaboulet Ainè
Parlare di lui significa innanzi tutto parlare di una leggenda, di un prodotto che sublima il mito. Siamo nella valle del Rodano settentrionale, nella Côte Rôtie. Sulla collina dell’Hermitage, sul pendio più scosceso della denominazione.
Si narra…
Si narra che sulla sua sommità il cavaliere Gaspard de Sterimberg, al suo ritorno crociata contri i catari, nel 1235 fece erigere una cappella che ancora oggi esiste e da il nome a questa meraviglia. Il crociato fondò attorno alla cappella una comunità religiosa che, secondo la leggenda, coltivò le prime vigne nel lieu-dit La Chapelle.
Non avendo ad oggi complete evidenze storiche non sapremo mai per certo se questa leggenda ha reali radici storiche, vero è che mentre lo si beve è impossibile non esserne pervasi dal mito. Quello che è certo è che le uve di syrah maturano su viti di età compresa tra i 40 e i 100 anni portandosi dietro nella loro profonda essenza una stilla di arcaica saggezza.
Inutile dire come l’approccio a questo vino sia sempre un misto fra emozione e timore reverenziale soprattutto perché durante l’assaggio si ha l’impressione di trovarsi davanti a un prodotto che va oltre l’eccellenza definendone i contorni. Un puro syrah che si erge a riferimento per l’enologia mondiale anche se troppe volte non valorizzato a dovere. Chi lavora quotidianamente questo vitigno deve inevitabilmente aver presente La Chapelle come fonte di imperitura ispirazione.
Emozioni d’annata
Nell’annata 2001 emergono nitidamente quei tratti di ricercatezza e precisione olfattiva maggiormente evidente rispetto ad annate precedenti assaggiate in verticale. Appena aperto, il vino è parso subito riprendere vita, con una vitalità non scontata per un ventitrenne.
Superato in un secondo il classico dilemma della decantazione: dopo l’incipit al naso e un tappo in ottime condizioni, sembrava quasi che il vino stesso supplicasse di non essere “violentato” e chiedesse giusto un po’ di tempo in bottiglia per riprendere la sua pienezza.
Versato nel calice, ha colpito per la pienezza del suo colore, la sua luminosità, la sua consistenza. Un tale rubino intenso che vira su note violacee, quasi purpuree, te lo dice in silenzio che ti trovi davanti a un capolavoro ancor prima di avvicinarlo al naso.
L’atto di portare il calice al naso è paragonabile a quello di entrare per la prima volta nella sala 35 degli Uffizi e veder comparire isolato, ma solo perché non avvicinabile da null’altro, il Tondo Doni, magnifico e illuminato di luce propria.
Il primo approccio è stato pieno, con sfaccettature innumerevoli ma perfettamente declinate. Un frutto scuro in confettura delizioso e pulito è parso danzare nelle narici accompagnato da note affumicate, terrose, seguite poi quelle di rosa e viola. Di sottofondo il suo apparato dei terziari sviluppati con l’età: liquirizia, pepe nero, tartufo e dolci ricordi di caffè.
Prima di assaggiarlo serve lo sforzo di scordarsi ogni paradigma mentale creatoci nel tempo dall’esperienza con altri syrah, occorre essere pronti a immergersi in un qualcosa che non ha nulla a che fare con tutto il resto. L’ingresso in bocca è stato sorprendente per due aspetti: l’entusiasmante nitidezza dei sapori e quella giovanile tensione davvero difficile da credere. La lunghezza è estrema (ma la si pretenderebbe in partenza), la sua forza alcolica non invade.
Si ritrovano in bocca le sensazioni preannunciate al naso che sul finale sono accompagnate da un delizioso sostegno agrumato a cui fanno da contraltare dei profondi rimandi di sottobosco e terrosi.
A dispetto di una indubbia morbidezza che abbraccia tutto il cavo orale la sua spiccata freschezza ti lascia la bocca viva, vogliosa di berne ancora un sorso… una dama luminosa e nobile dall’anima scura e ammaliante.
Se qualcuno volesse poi capire realmente il significato della troppo abusata parola “terroir“, qui troverebbe la spiegazione: sapienti mani di vigneron che toccano con cura e reverenza i frutti cresciuti dal granito dei terreni, baciati dal sole e rinfrescati dalle brezze del nord. Un viaggio edonistico racchiuso in un calice.
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foto: Bernardo Coresi
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