L’arrivo degli spagnoli e degli alambicchi. La strada tortuosa del successo. ¡arriba el Mezcal! – La genesi, parte seconda.
Proseguiamo con Mauro Bonutti il sintetico viaggio storico che ci avvicina al mondo del Mezcal, ai suoi miti e alle sue leggende.
[si legge, più o meno, in: 4 minuti]
Il nostro “Affabulatore alcolico“, dopo una intro (prologo) “alternativa” di inizio anno, è partito giorni fa a raccontarci di come da un’agave è stato possibile spontaneamente ottenere una bevanda alcolica.
Mancano però ancora cinque secoli per arrivare a oggi e al successo contemporaneo del distillato più rappresentativo del Messico e più antico di tutte le Americhe… flashback e buona lettura.
[la redazione]
Mezcal: la genesi, parte seconda
Eravamo rimasti agli aztechi, intorno all’anno 1500 (fuso orario del Vecchio Mondo cattolico), dopo aver trattato di miti e leggende primordiali, della dea dell’agave Mayahuel e della dolce bevanda Aguamiel che magicamente diventava alcolica mentre sulle coste dello Yucatan stavano per sbarcare gli uomini di Hernan Cortes.
La nostra colonna sonora rimane la stessa, siamo pur sempre agli albori di una favola, alla nascita di un distillato su cui un “Affabulatore alcolico” può liberamente ricamare. Facciamoci quindi accompagnare prendendo nuovamente spunto dal testo di Francesco Guccini e proseguiamo alla scoperta del Mezcal mantenendo una consecutio temporum che ci mascheri il passato remoto di tempi ormai andati (da un pezzo) tentando di renderli coevi ingannando la nostra mente.
Per capire la nostra storia bisogna farsi ad un tempo remoto:
c’era un vecchio con la barba bianca, lui, la sua barba, ed il resto era vuoto.Voi capirete che in tale frangente quel vecchio solo lassù si annoiava,
si aggiunga a questo che, inspiegabilmente, nessuno aveva la T.V. inventata…
Di vero e proprio distillato non ne abbiamo ancora parlato ma tutto inizia a cambiare quando, appunto, intorno al nostro a.D. 1550 alcuni conquistadores spagnoli senza scrupoli al comando di Hernan Cortes arrivano a Tenochtitlan attratti dagli ori e dai tesori locali e, nel giro di pochi anni, riescono a sottomettere il popolo azteco diventando i dominatori della regione.
Nel loro lungo viaggio i conquistatori europei si sono portati dietro tutte le loro usanze, costumi, abitudini e, di conseguenza, cibi e bevande del paese di origine (alla faccia dell’integrazione), in quanto la motivazione/scusante alla base era sempre la colonizzazione e conversione cristiana del mondo pagano.
Gli spagnoli dell’epoca sono gente abituata a bere, e a bere bene. In quei tempi dove l’acqua è tutto meno che sana si beve soprattutto alcool: in Spagna è abbondante la produzione di vino, vino fortificato (Sherry) e distillati di vino (brandy). Le navi erano state ben riempite di barili ma le pur copiose scorte dopo un po’ iniziano a scarseggiare e il rifornimento dalla terra natia non è proprio veloce e immediato.
Diventa quindi necessità indirizzarsi verso quel che passa il convento, o meglio il nuovo mondo, che è soprattutto questo Pulque. La differenza rispetto ai derivati dell’uva conosciuti si fa impattante, il piacere diventa relativo, anzi sostanzialmente risulta bevanda ben poco gradita, ma soprattutto parliamo di basse gradazioni alcoliche, manca qualcosa di più “forte”, che dia più brio. Così, finalmente, entrano in ballo i nostri pentoloni riscaldati da cui fare stillare gocce preziose.
E qui la storia torna a intrecciarsi con la leggenda, perché non sono ancora ben chiari i passi che hanno portato alla distillazione in questi territori adesso noti come Nuova Spagna.
Sicuramente ci sono gli spagnoli, che si sono portati dall’Europa il loro bagaglio di conoscenze (e di alambicchi), grazie alle quali hanno provato a distillare quel che c’era a disposizione, ovvero questo Pulque, che altrimenti ben presto altrimenti inacidiva. Testimonianze scritte riguardo queste apparecchiature in rame, di origine araba, e la loro operatività ne abbiamo in quantità.
Ricerche storico-archeologiche hanno ritrovato negli anni, verso l’Oceano Pacifico, i resti di primitivi alambicchi in argilla probabilmente portati dai navigatori filippini durante i loro viaggi secoli prima, e di cui è noto l’utilizzo per delle parziali distillazioni a partire dalle noci di cocco. All’interno risulta la presenza di resti di fibra vegetale di agave, il che potrebbe portare alla possibilità che un qualche Mezcal esistesse già da tempo. Si tratta effettivamente di territori più lontani, dove gli spagnoli sono arrivati solo in un secondo momento.
A complicare le cose (o a renderle ancora più interessanti), ci sono stati poi dei recenti ritrovamenti in luoghi isolati e ben lontani dalla capitale: tracce di antichi forni di cottura per agavi e pezzi di strani recipienti dalla forma vagamente simile ad antichi alambicchi. Un’ulteriore mistero e l’ipotesi che la pratica della distillazione potesse già essere congenita nelle popolazioni pre-ispaniche.
Fra tutte queste perplessità, in attesa di certezze, resta il fatto sicuro e testimoniato che, dal XVI secolo in poi, questo succo di agave distillato inizia a piacere sempre più e si diffonde in modo esponenziale. Regioni diverse, paesini diversi, ognuno con le proprie metodologie e usanze, a seconda degli sviluppi storici e delle varietà di pianta che crescono su ogni territorio.
Il nome che identifica inizialmente questo nuovo prodotto è Aguardiente de Mezcal (alla “messicana”) o Vino de Mezcal (alla “spagnola”) ma dopo non troppo tempo si semplifica in Mezcal e basta.
Mezcal che nelle sue differenti versioni è stato ottimizzato, abbandonando l’originaria distillazione di quel poco liquido dolce, faticosamente estratto a mano, che una volta fermentato diventava Pulque, e concentrandosi direttamente sul grosso bulbo sotterraneo, che una volta cotto (in vari modi) e poi triturato in poltiglia più o meno liquida (con altrettante varie tecniche) costituisce materia prima ottimale e in gran quantità per giungere a quel distillato ormai sempre più gradito e amato sia dal popolo originario messicano che dai discendenti dei conquistatori spagnoli.
Agli inizi del 1700 la richiesta aumenta sensibilmente e, di conseguenza, cresce anche la produzione ma ciò genera conflitti e concorrenza agli altri alcolici in arrivo dal Vecchio Mondo. La corona spagnola, nella metà del XVIII° secolo, è costretta a proibire la vendita del Mezcal e lo fa (ufficialmente) per “limitare i disastri per la salute pubblica” seppur sia noto a tutti che il vero scopo è quello di salvaguardare gli interessi reali sul vino e sul brandy.
La produzione però continua di nascosto e senza sosta, confinata in piccole fattorie locali, per un consumo strettamente privato o al massimo locale, e in un certo senso è rimasto così fino ai nostri giorni. Ancora oggi il vero Mezcal non è quello che riesce tranquillamente a essere esportato in tutta Europa, ma quello che si distilla in piccole quantità, con procedimenti rigorosamente casalinghi, manuali, con l’utilizzo delle diverse specie di agave che crescono (spesso spontanee) nella zona, in luoghi isolati e sperduti, in mezzo alla sabbia e al caldo. Servono lunghi e tortuosi tragitti a bordo di fuoristrada, su strade sterrate per raggiungerli, ma solo lì si riesce a capire la vera natura di questa bevanda spiritosa.
Tornando indietro al XIX° secolo, accade poi che (sempre in apparente silenzio) in un grande ranch non lontano dalla cittadina di Tequila, nella regione di Jalisco, un nobile di antica stirpe ispanica studia e introduce tecniche innovative e più efficienti nel processo produttivo.
Utilizzo esclusivo di una unica varietà di agave (Agave blu), modernizzazione dei forni di cottura con utilizzo del vapore e alambicchi sempre più moderni, permettono di ottenere in minor tempo e in quantità superiore un prodotto più leggero. Il potente proprietario del ranch riesce ad ottenere per primo la licenza dal Re di Spagna per la produzione di “Vino Mezcal de Tequila“.
Le strade, così, si separeranno. Pur partendo dalla stessa materia prima e pur operando teoricamente secondo gli stessi passaggi, da una parte si arriverà a quella che prenderà ufficialmente a fine ‘800 il nome di Tequila (con il suo procedimento industriale che invaderà il mondo), mentre dall’altra rimarrà il procedimento artigianale, arcaico, più rustico, forte, popolare e verace, che manterrà il nome di Mezcal.
Da qui la storia corre poi veloce, entrambi i distillati si contraddistingueranno come simboli fra i più importanti attorno ai quali rivendicare la propria autonomia nel corso della lunga Guerra di Indipendenza del popolo messicano, fino ad arrivare al secolo scorso quando ufficialmente escono i rispettivi Disciplinari di Produzione (Norma Oficial de Producion), che tracciano caratteristiche e limiti dei due “cugini”, il Mezcal e il Tequila.
Per capire la nostra storia bisogna farsi ad un tempo remoto:
c’era un vecchio con la barba bianca, lui, la sua barba, ed il resto era vuoto…
Abbiamo così finito di srotolare la pergamena della storia, non siamo più in un tempo remoto (raccontato al presente) e il resto non è più vuoto, anzi, i bicchieri sembrano belli pieni di un liquido (quasi sempre) cristallino. È giunto il momento di andare nel pratico e conoscere nel dettaglio l’agave e la sua distillazione… ma questa è tutta un’altra storia, un’altra puntata che ci aspetta, prima o poi…
Nell’attesa, proseguiamo i nostri assaggi a campione del Mezcal con un altro prodotto di facile reperibilità dalle nostre parti, interessante per la sua storia e per le sue caratteristiche “tranquille”, identitario e didattico, molto utile per i primi approcci sulla materia.
Storia interessante perché la Distilleria Los Danzantes a noi già nota dall’articolo passato, una volta stabilizzata e fatta crescere la sua struttura, ha pensato bene di chiamare a raccolta i piccoli distillatori artigianali della zona fornendo loro aiuto per la distribuzione e consorziandoli in una specie di cooperativa dal nome Alipus.
Santa Ana del Rio non è altro che uno di questi Mezcal di prima qualità, selezionati con cura e prodotti in luoghi remoti e isolati raggiungibili solo su strade sterrate. Produzioni lente, casalinghe, completamente manuali seguendo i tradizionali metodi secolari tramandati di padre in figlio usando la varietà di agave Espadin, la più diffusa e di conseguenza la più utilizzata.
Nel nostro bicchiere sentiamo subito profumi piacevoli, con tanta frutta matura, bucce di agrumi e un leggero fumo di fondo che avvolge tutto senza disturbare. In bocca la gradazione alcolica (47,5°) si sente e anche il fumo diventa un po’ più acre di primo acchito, perdendo la amabilità del naso. In ogni caso il tutto lascia subito spazio a sapori più balsamici, più delicati, con l’agrume che ritorna e accompagna a lungo. Ottimo come base per continuare le nostre prime iniziazioni sui Mezcal, da inserire assolutamente nel database sensoriale.
Per stavolta ci fermiamo qui, ma stay tuned, la storia è appena iniziata… fra poco si parte!
fonte: Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal
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