I dati ci dicono che il settore no & low alcohol è in forte crescita. Birra e sidro sono già una realtà, per il vino ancora tante ovvie perplessità. La tendenza però…
Il tema dealcolazione continua a interessarci (anche a dividerci). Abbiamo la sensazione che “terrà banco” a lungo e che sia un argomento da sviscerare con tutte le distinzioni del caso.
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Prendiamo a spunto una recente pubblicazione di Wine Analytics, la piattaforma francese di consulenza economica per il mondo vitivinicolo e affini, che a nostro avviso ci fornisce qualche dato su cui ragionare serenamente senza accapigliamenti.
Dato oggettivo: i prodotti analcolici o a basso contenuto alcolico stanno catalizzando davvero molta attenzione.
In Italia forse non respiriamo questa “arietta” ma, all’estero, gli atteggiamenti nei confronti del non consumo di alcol stanno diventando coinvolgenti e accolti sempre più positivamente.
Dimostrazioni lampanti sono le copiose adesioni a iniziative come la dry-january inglese e il movimento dei numerosi “sober curious” che, dopo il libro della Warrington e il sostegno di molte celebrità, sono oggetto di fortissima attenzione da parte degli investitori.
Intendiamoci, i numeri del no & low alcohol non sono oggi esorbitanti. Nel 2020, a livello globale hanno inciso sul mercato per poco più di 9 milioni di euro ovvero meno dello 0,5% del consumo totale.
L’esame di Wine Analytics ha però, lo ripetiamo, molta sostanza su cui riflettere.
- Punto 1: il settore dealcolati è cresciuto fortemente nel recente passato e decisamente più del mercato totale del vino. Nel 2015-2020, il tasso di crescita medio annuo è stato del 25%.
- Punto 2: mentre il 2020 è stato un anno difficile per le bevande alcoliche, la domanda dei consumatori di birra, vino, liquori e prodotti “ready to drink” (RTD) a basso/senza contenuto di alcol ha proseguito la crescita. La categoria dei “no/low” ha guadagnato lo scorso anno il 3% di quota all’interno del mercato totale delle bevande alcoliche.
- Punto 3: Il tasso di crescita per il quinquennio 2021–25 è previsto con una media del +15% annuo (per il volume totale del vino si stima l’ 1%) portando nell’insieme a oltre il +31% delle vendite di oggi entro il 2024.
L’analisi Wine Analytics scinde giustamente i dati fra le bevande “senza alcol” e quelle a “a basso contenuto di alcol” così come fra vino e altri alcolici, perché la differenza esiste e non solo in specifiche tecniche ma soprattutto in termini di gradimento e fatturato.
In generale, i prodotti analcolici stanno superando le prestazioni delle bevande a bassa gradazione (quelle fra lo 0,5% e il 7,5% ABV): nel 2019-2020 i “no alcohol” hanno aumentato il volume del +4,5%, mentre i “low alcohol” l’hanno diminuito del -5,5%. Un calo probabilmente motivato dalla scarsa performance dei tradizionali marchi di birra a bassa gradazione.
Questo però non significa un trend costante nel futuro perché è sotto gli occhi di tutti gli analisti il successo dei nuovi prodotti a basso contenuto alcolico (RTD principalmente) soprattutto in mercati come gli USA, dove i consumatori stanno diventando più consapevoli di cosa e quanto consumano.
Spinte dall’innovazione precoce e dagli investimenti in qualità, sono le categorie birra e sidro che dominano il mercato globale no/low comandando una quota del 92% del segmento totale.
La giusta comunicazione sembra aver fatto superare lo scetticismo dei consumatori che oggi accettano la birra no/low come prodotto di qualità. Questo avviene in un mercato dove i players principali sono i grandi Gruppi ma che presenta una visibile frammentazione con marchi meno blasonati che competono per affermarsi come leader di mercato e che saranno in futuro sempre più affiancati dai quei produttori artigianali che si stanno preparando a mettere sul mercato una loro gamma diversificata.
Le bevande a basso/senza contenuto alcolico sono in generale aumento a livello globale, ma alcuni mercati si sono dimostrati più resistenti di altri nell’ultimo anno. Quello della Germania rimane il mercato più importante seguito da quello statunitense che però, visto l’aumento di oltre il 30% registrato nel difficile 2020, è stimato essere il più dinamico e promettente.
Negli Stati Uniti, pare esserci anche una diversa concezione del prodotto: a differenza degli altri importanti mercati a livello globale, dove i vini analcolici decisamente sono preferiti, negli USA è più la tendenza alla salute e al benessere che condiziona l’acquisto e che fa preferire il vino a basso contenuto alcolico rispetto a quelli senza.
C’è davvero tanto su cui riflettere se ragioniamo su grandi numeri ed export. In Paesi come l’Italia, di grandissima tradizione vinicola, secondo noi il trend potrà lievemente modificarsi ma non intaccherà (vogliamo spingerci…) la richiesta per almeno i prossimi 10 anni, ferma restando la tendenza verso vini più leggeri e dal colore più chiaro (anche con bolla) registrata dal 2010 in poi.
Altrove, dove il vino è una bevanda alcolica prevalentemente consumata per il gusto e un’affermazione di status, qualcosa cambierà creando verosimilmente succulenti spazi contendibili fra le “wine majors” internazionali.
Per la birra, a nostra sensazione, sarà diverso e molto più uniformato globalmente verso un aumento del consumo no/low.
Salute, controllo e gusto sono le 3 parole che sempre più si sentono ripetere quando si parla di stile di vita e alimentazione. I consumatori dei paesi industrializzati tendono a bere meno calorie, più ingredienti “naturali” e possibilmente in piena coscienza.
Se per la birra no/low i risultati sono complessivamente ottimi, il vino dealcolato fatica moltissimo. Le recenti norme approvate dall’UE, il Piano europeo per la lotta al cancro potrebbero spingere sensibilmente il settore nonostante lo scetticismo dei produttori e alcuni insuccessi iniziali (leggasi: investimenti persi e rischio di definitivo appannamento del progetto).
Sono tutte considerazioni da prendere in esame che comunque non ci daranno una previsione esatta su ciò che accadrà. Questa è una società colma di messaggi che arrivano via canali media eterogenei mirati a differenti stili di vita per le diverse generazioni di questa società. Gli over 50 e i “boomers” sono indiscutibilmente molto meno sensibilizzati alla moderazione nel consumo di alcol rispetto alla “Gen Z” e a quella “Millennial“.
La sfida probabilmente più difficile per i produttori di vino sarà innanzitutto quella di produrre una bevanda a bassa gradazione alcolica che abbia un sapore buono come il vino “vero”, quello della tradizione. Per noi (sapete bene come la pensiamo ma ci piace discutere su tutto) rimane fondamentale il ruolo della comunicazione all’educato consumo consapevole.
fonte: Wine Analytics
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