sensazionali scoperte archeo-viticole


Ricercatori italiani rivedono le teorie sulla viticoltura antica partendo dall’Alta Val d’Agri: l’Enotria, i Greci, il Sangiovese in Messapia e poi il Syrah


Abbiamo atteso molte settimane ma volevamo fare un “doppio colpo” attendendo nuovi sviluppi a distanza relativamente breve l’uno dall’altro.


[si legge (più o meno) in: 6 minuti]


Potrebbe mai un piccolo lembo di terra del sud Italia offrire una “chiave pass-partout” per ridefinire e riscrivere una parte dei concetti e della storia vitivinicola europea?

E se la Basilicata diventasse il fulcro di una rivisitazione dell’evoluzione del vino nei secoli? E se invece della solita boutade per l’audience, vi fosse dietro un team di esperti professionisti interdisciplinari che con rigore filologico smentisse teorie assodate e accreditate sulla diffusione dei vitigni nel continente?


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Volevamo, appunto, offrirvi un “doppio colpo” per rafforzare il messaggio e concentrare l’interesse su queste indagini e scoperte che riteniamo interessantissime.


Il secondo articolo arriverà molto presto… cominciamo intanto dalla primavera scorsa quando Marco Mancini, inviato di spiritoitaliano.net, si recò a Firenze ed entrò in un luogo militare… sorpresa n.1

buona lettura [n.d.r.]



Alla scoperta dei segreti della viticoltura antica: il territorio dell’Alta Val d’Agri svela nuove prospettive


A fine marzo, presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze (IGM), ha suscitato grande sorpresa tra i partecipanti la presentazione del volume: “Fra le montagne di Enotria – Forma antica del Territorio e paesaggi viticoli dell’Alta Val d’Agri“.

Questa pubblicazione incarna una parte significativa di una vasta ricerca sulla regione storica di Enotria, inclusa la città romana di Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri.


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foto: PB ©

Durante l’incontro sono emerse informazioni e spunti a dir poco rivoluzionari riguardanti la trasmissione dei vitigni e l’evoluzione della viticoltura in generale.

Stefano Del Lungo, curatore del volume e archeologo nonché ricercatore presso il CNR ISPC, ha riassunto il contenuto del libro in modo efficace: «Solitamente si crede che i Greci abbiano introdotto la viticoltura in Italia, ma non ci si è mai chiesti come abbiano fatto.

Questa ricerca dimostra esattamente il contrario e segue le tracce dei Greci e successivamente dei Romani nella loro penetrazione degli Appennini, alla ricerca delle uve e dei vini che poi avrebbero portato nella madrepatria».


Il volume, stampato dall’IGM ed edito da Difesa Servizi si compone di sette capitoli che descrivono nel dettaglio l’Alta Val d’Agri, uno dei terminali delle esplorazioni greche e della successiva colonizzazione romana dell’entroterra lucano.


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Grumentum – foto: Mboesch (CC BY-SA 4.0)

L’approccio archeologico e genetico ha permesso di tracciare la strada seguita dai Greci e dai Romani nella diffusione della viticoltura, una ricerca congiunta di CNR ISPC e CREA VE passata attraverso le scienze biologiche (il DNA delle varietà), agronomiche (le qualità ambientali e i caratteri ampelografici) e dell’Antichità (la topografia antica delle vallate fluviali, la biodiversità vegetale resa in terracotta e metallo, le cantine in grotta, la documentazione d’archivio a corredo).

Ciò che rende l’Alta Val d’Agri unica nel suo genere sono le sue terre e il loro peculiare ambiente, che si rivela così essere un tesoro enologico di rilevanza mondiale. Secondo Del Lungo, queste terre condividono una caratteristica ambientale particolare con un’altra regione vitivinicola situata dall’altra parte del globo, in Argentina.


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foto: PB


L’incontro ha suscitato grande interesse tra gli esperti del settore, poiché le nuove prospettive offerte dalla ricerca promettono di rivoluzionare le attuali conoscenze sulla storia della viticoltura. Il volume rappresenta un importante contributo alla ricerca archeologica e alla conoscenza del patrimonio viticolo italiano, aprendo nuove strade per gli studiosi. Alcuni passi di particolare rilevanza:

  • «L’Enotria (letteralmente la “terra della vite legata al palo” (oinòtron) con due capi a frutto per meglio resistere ai venti), rappresenta quella porzione di Appennino, dal Cilento alla Calabria, dove i Greci, all’inizio della colonizzazione di questi luoghi, restano colpiti nel trovare un entroterra coltivato, con un paesaggio segnato marcatamente dalla viticoltura e quindi, secondo la loro cultura, “non barbaro”. Sentono parlare di oinòtra e lo chiamano Enotria».
  • «In un’indagine che risale controcorrente l’Agri, dalla foce alla sorgente, si abbatte il luogo comune di una civiltà greca che avrebbe introdotto nella penisola italica la coltura e la civiltà della vite. I primi coloni nell’VIII secolo a.C., provenienti in maggioranza dalla Grecia continentale, si stabiliscono nelle isole e sulle coste portando con sé il preconcetto di un entroterra da evitare, perché ostile, pericoloso e incolto, sintetizzato in quel periodo nei versi dell’Odissea. Ricostruendo con prove concrete e riscontri documentati la cultura e la mentalità che guidano gli stanziamenti dei coloni, è evidente la loro sorpresa di trovarsi di fronte una civiltà evoluta, l’enotra, esperta produttrice di un bene primario (il vino), prezioso quanto i ricercati metalli (soprattutto il ferro e il rame)».
  • «Attraverso la genetica, le fonti classiche trovano riscontro nelle varietà di vite recuperate di recente in anni di esplorazione di vecchi vigneti nell’entroterra e con risultati sorprendenti. Il Massiccio del Pollino, tra la fertile Sibaritide e la vallata del Sinni, diventa uno degli areali di elezione del sangiovese, originario delle terre messapiche prossime alla dorica Taranto».
  • «La colonia di Siris (presso Policoro), di fondazione ionia, si dissocia dalla chiusura delle città greche vicine, e si espande nell’entroterra verso il Tirreno. Nelle vallate intorno se ne ritrovano i parenti stretti (fra i quali anche quello che poi prenderà il nome di Aglianico). Fra VI e V secolo a.C. grazie alla colonia ionia di Elea (Velia) nel Cilento prende la via di Marsiglia e con i Greci si diffonde nella media valle del Rodano. A lungo vi mantiene il nome antico, Serine, prima di mutarlo nel moderno Syrah, più esotico ma fuorviante. Con la Persia infatti non ha niente a che vedere e etimologicamente mantiene in sé l’eredità del nome nelle forme sibarita e sannita (Sirica). I Romani lo trasformeranno in “Siriaco”, però nella documentata consapevolezza di una relazione diretta con le regioni campana e lucana, non con il Vicino Oriente come oggi preteso sul web e non solo».

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Giosana – courtesy: Uff stampa Consorzio di Tutela DOC Terre dell’Alta Val d’Agri

La comunità scientifica si appresta ora ad approfondire le nuove informazioni emerse, al fine di ampliare la comprensione della diffusione della viticoltura nel mondo antico.

L’Alta Val d’Agri e i suoi vini si rivelano così fondamentali per chiunque sia interessato all’evoluzione e alla storia di questa millenaria tradizione.


Al termine, la conferenza si è arricchita di una degustazione molto interessante di vini locali, alla presenza di alcuni produttori. Inoltre, sono state presentate alcune micro-vinificazioni di antichi vitigni autoctoni lucani realizzate dal CREA Viticoltura ed Enologia di Turi (BA), tra cui il rosso colatamurro e i bianchi giosana e ghiandara, noto anche col nome di aglianico bianco.


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foto: PB ©

Una pubblicazione così ricca di tali novità potrebbe già andare a scardinare definitivamente alcune delle teorie che circolano da sempre nel mondo agronomico e ampelografico ma la sensazione è che non siano finite qui le analisi compiute in oltre un decennio di studi da questo team di veri e meticolosi professionisti.

Vi terremo aggiornati a breve.


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