#nonsolovernaccia, Elio Carta è un esempio di cultura e genio che portano l’intuizione al successo. Gamma di gin fra le migliori in Italia con anima e respiro di Sardegna
“Adattarsi bisogna” disse Efix versandogli da bere.
“Guarda tu l’acqua: perché dicono che è saggia? perché prende la forma del vaso ove la si versa”.Grazia Deledda
Giungo colpevolmente in ritardo a Zeddiani, un maledetto e inevitabile contrattempo mi fa arrivare ben oltre l’orario accordato preventivamente con Elio Carta.
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La Sardegna è un luogo meraviglioso, fatto di natura, storia, mistero e contraddizioni che sembrano armonizzarsi sopra ogni zolla della sua terra.
Un’isola dai tratti eterogenei che però unisce ogni suo angolo e ogni suo popolo con profondi valori di univocità socio-culturale.
Non vorrei tradire la fiducia di Elio: ci siamo parlati, visti e conosciuti a distanza (in epoca covid) ma di persona mai fino a ora. I sardi sanno solitamente aprirsi con sincera ospitalità e amicizia ma solo a chi porta il giusto rispetto per la loro storia, il loro lavoro, il loro pensiero.
Questo concetto mi piace, mi stimola, amo il sorriso vero ma non l’accoglienza deferente a prescindere, diffido di chi apre troppo presto le braccia, apprezzo chi, a casa sua, prima di fare due passi in avanti ti scruta attendendo un tuo passo cercando di leggerti negli occhi e nel cuore.
Ecco perché mi infastidisce questa mia mancanza, oltretutto è pomeriggio sempre più tardo… e finisco per pagare dazio.
Estremamente cortese, Elio Carta mi accoglie ma fa capire che, però, per vedere e calpestare le vigne di vernaccia occorrerà ritornare… il ritardo è stato oggettivamente troppo.
“… adattarsi bisogna”
“Adattarsi bisogna” lo dice Efix in “Canne al Vento” (1913) di Grazia Deledda e come non posso dirlo io qui a Zeddiani nella sede degli uffici, del punto vendita e dei locali sia produttivi che di affinamento degli spirits Silvio Carta?
“Adattarsi bisogna” lo pensò probabilmente anche Elio Carta quando a metà anni ottanta ritenne arrivato il momento di guardare alla differenziazione della produzione.
Non fu sicuramente una scelta facile: Sinis significa essenzialmente Vernaccia, un vino identitario, unico, favoloso e caratterizzante. Proporre un’innovazione, circa quarant’anni fa, al padre fondatore di un’azienda già attiva con successo da oltre trent’anni, non deve essere stato facile per niente.
Sarà stata la preparazione, la comprensione del mondo vinicolo grazie agli studi presso la Scuola enologica di Conegliano, oppure l’intuito, la capacità di guardare oltre e vedere cose prima degli altri in una terra radicalmente attaccata alle proprie tradizioni secolari… Elio Carta ha saputo valorizzare il proprio territorio e il lavoro del padre lanciandoli verso il terzo millennio con successo indiscutibile.
Ebbene “mi adatto” e lo seguo così fra i locali della sede alla scoperta dell’altra Silvio Carta, non quella delle Vernaccia di Oristano fra le più esclusive e premiate di Sardegna, bensì quella che in quattro decenni è passata dall’acquisto del primo impianto di distillazione al successo internazionale nel mondo spirits.
La linea produttiva è importante, sono davvero tante le bottiglie che arrivano vuote e poi ripartono imballate verso destinazioni nazionali ed estere.
Non pensiamo però a una “fabbrica di alcolici”, tuttaltro! Se qui c’è un leit-motiv che unisce ogni etichetta è: qualità del territorio. Si seleziona, si ricerca, si affina, si cura con estrema attenzione sebbene, chiaramente, la gamma includa linee di prodotti per consumatori, disponibilità economica e contesto variegato.
Negli anni si è passati dalla grappa al brandy e al filu ‘e ferru. Poi i liquori tradizionali come quelli al limone, liquirizia e, ovviamente, mirto – oggi sono 4 sul mercato: Bianco, Pilloni, Del Fondatore, Ricetta storica 1929 – e ancora i prodotti da aperitivo o fine pasto come vermouth, bitter e amaro.
bravo e geniale
Bravo e geniale, Elio Carta ha ultimamente messo “sul piatto” tre prodotti che ero curiosissimo di assaggiare sul posto e che mi hanno pienamente convinto: il Bitter Roma assoluto, l’amaro Bomba Carta e – udite udite! – l’Estremista, l’amaro con solo il 3% di alcol.
Il Bitter Roma Assoluto ha fantastico equilibrio tattile e ampiezza aromatica di altissimo livello. Penserete che, per un prodotto del genere, la varieganza dei profumi sia normale… mah… parliamone!
Credetemi, non è tanto la quantità delle sensazioni che arrivano all’olfatto, bensì la qualità e lo sviluppo degli stessi che fa la differenza. In bocca ha grande eleganza, sono ben distribuite le componenti saporifere e un finale con note di erbe e arancia amara davvero di pregio.
L’azienda lo proporrà sicuramente anche per la miscelazione. Io sinceramente non me la sentirei di diluirlo, sarei per gustarlo in tutto il suo bilanciato corredo e con il suo 25% di alcol così perfetto.
Siamo, più o meno, poco sotto i 40 euro; una spesa importante per un prodotto di questa tipologia ma se la qualità ha un costo allora il Bitter Roma Assoluto li vale sicuramente. Rapporto qualità/prezzo non eccellente ma indubbiamente ottimo con figurone per chi volesse dare un tocco di esclusività all’aperitivo da offrire agli ospiti in salotto.
Altra “arma” di potenza qualitativa è il Bomba Carta. Un amaro nato nel 2020 – vi ricordate la nostra intervista a distanza pochi mesi dopo il lancio? – che usa il suo 33% di gradazione per amplificare gli aromi di erbe come il timo, l’elicriso e la macchia mediterranea su un costante ritorno floreale e balsamico.
Estremamente territoriale, nella sua ricetta c’è anche il miele di corbezzolo e, ancora una volta, si ha la sensazione di un preciso “puzzle aromatico” concepito e messo in atto benissimo.
La percezione pseudo-calorica arriva, ma l’alcol è buono, non infastidisce e, appunto, porta in primo piano le essenze con ottima persistenza dal finale speziato e giustamente amaricante. Poco sopra i 30 euro sul mercato, nessuna discussione.
La recentissima novità è un altro “colpo di genio“. L’azienda trova evidentemente anche un sottile piacere nello stupire con un pizzico di ironica provocazione. Lo si vede nelle geometrie delle bottiglie, delle etichette, dei nomi stessi dei prodotti (anche per i gin).
L’Estremista per me è un capolavoro vero. Ok, con un 3% di alcol siamo fuori dai nostri schemi e dalle nostre inclinazioni. Premesso questo e aggiunto che in casa, dovessi scegliere un amaro, mi terrei il Bomba Carta, è incredibile ciò che è stato compiuto nei locali di miscelazione e infusione. E’ difficilissimo fare un amaro per il pubblico del “low alcohol” senza la sostanza propulsiva dell’etilico.
Eppure il risultato è sorprendente: gli aromi di mirto, agrumi e liquirizia sono ben identificabili e sono comunque lunghe le scie aromatiche di fiori ed erbe che si susseguono al sorso. E’ normale che in bocca manca corpo, manca la normale avvolgenza, ma è straordinario il risultato visto l’obiettivo da perseguire. Più o meno sui 15 euro, è perfetto non per me ma per coloro che cercano un “amarino” soft.
Ma detto questo e precisato ancora che le tre bottiglie sono (per forma, materiale, linea ed etichetta) straordinariamente belle – lo ha sancito anche Vinitaly packaging design -, solide, altamente evocative e quasi provocatorie…, la grande magia spiritosa dell’azienda Silvio Carta oggi si chiama gin.
un decennio di ottimo “giniu” sardo
In circa 10 anni si è passati dal rilancio di un distillato dimenticato da sessant’anni a una gamma (in continuous progress) di una dozzina di gin fra le migliori d’Italia per qualità assoluta e senza minimo dubbio.
Su questo trend qualitativo è proseguita anche l’attività produttiva del primo semestre 2023 con le 2 novità Grifu Orange e il celebrativo Gin per te che ho assaggiato a posteriori in Vinitaly.
Il gin era infatti uno dei liquidi che più uscivano dagli alambicchi sardi di contrabbando nel dopoguerra. Era chiamato “giniu” così come il “filu ‘e ferru” era il distillato di vinaccia mentre quello di vino era per tutti l'”abbardenti” (così come l’aguardente o l’aguardiente della penisola iberica).
Giniu è stato così anche il nome che la Silvio Carta ha dato al suo primo distillato da bacche di ginepro nel momento in cui si decise di recuperare quella tradizione post-bellica abbandonata poi negli anni sessanta.
Con il nipote di Elio, Nino Mason, affronto l’avvincente sfida di assaggio della quasi completa gamma di gin Silvio Carta presenti sul mercato non prima di aver salutato l’altro prezioso nipote Alberto ed essermi congedato dal protagonista principale di questa realtà.
Elio, nonostante l’ora tarda, deve chiudere la giornata di lavoro; restiamo giusto qualche minuto insieme a parlare di Vernaccia di Oristano, dell’uso rigoroso di botti esclusivamente in castagno e dello straordinario successo riscosso in questi anni dalla loro Riserva 1968, messa in commercio a 50 anni dalla vinificazione, l’ultima avvenuta nella sede storica di Baratili San Pietro.
E parliamo brevemente insieme anche dell’ultima nata, la Vernaccia di Oristano riserva DOC Per Te 2002 su cui, però, volutamente tornerò a chiusura.
la gamma gin Silvio Carta
Boigin, Pigskin, Grifu e Giniu sono le 4 linee di gin che oggi la Silvio Carta propone agli appassionati.
Quattro sono oggettivamente anche tante, ma la sensazione personale è che l’azienda stia monitorando il mercato per studiare come evolversi nel futuro e capire come sviluppare questo settore produttivo che ormai è diventato cruciale e che, sinceramente, dà dei risultati eccellenti nel bicchiere.
Garantisco che 8 ne ho assaggiati e 8 mi sono piaciuti. Poi si possono fare dei distinguo su qualità e prezzo in commercio. Una cosa è certa: qui sanno lavorare molto bene, dall’orto, alla collina, alla montagna, ai locali di distillazione.
Boigin
Boigin è un distillato immediato. Buona aromaticità, senza incantare, dal profilo decisamente fresco di agrumi. Si beve benissimo, senza impegno, un 40% che scivola via anche in aperitivo o in abbinamento a crudités e tartare leggere. Raccolta a mano dei galbuli e consueto valore aggiunto condiviso con gli altri prodotti: la materia prima è della zona e a distanza la più inferiore possibile. Convince perché non aggredisce, è delicato. il suo prezzo fra 20 e 25 euro è quello giusto.
Recente novità di gamma è la versione con zafferano: il Boigin Saffron è un omaggio all’isola, aromatizzato con infusione a freddo dei pistilli di zafferano di Sardegna DOP con doppia distillazione di bacche del ginepro costiero.
L’analisi tattile è in linea con quella del base, il quadro aromatico ne esce ovviamente più completo con i tratti distintivi speziati che sono caratterizzanti ma molto ben integrati. Per intendersi: non immaginatevi effluvi invadenti nè accenni odorosi da cercare.
Ancora una volta la chiave, la “soluzione del rebus”, è: “giusta dose“. Proprio per questo, non me ne vogliano, l’ho trovato particolarmente appagante bevendolo liscio.
Con un distillato è ingeneroso chiudere ogni porta verso l’abbinamento e la miscelazione e non sarò io certamente a farlo ma la maestria nel dosare ogni ingrediente alla fine rende il Boigin saffron perfetto per la digestione e a rischio interpretativo se messo a contatto con altri spirits.
Comunque sia, siamo fra i 30 e i 40 euro, una fascia di prezzo meritata. Se lo avrete in casa sfidate e sorprendete tutti mettendolo in abbinamento a degli jiaozi con gamberi o dei gyoza con cernia e poi ne riparliamo…
Pigskin
Pigskin è la linea più rotonda, più vellutata, che vanta la peculiarità del passaggio in botti di castagno già usate per maturare il Vernaccia in divenire.
Lo stile è sicuramente il London dry ma si intuisce la probabile ambizione di avvicinare in morbidezza un Old Tom. Questo, immagino, per incontrare un pubblico più ampio ed eterogeneo nelle aspettative proponendo un plus tradizionale di non poco conto.
Pigskin silver aggiunge delicate note burrose a un profilo aromatico essenzialmente di agrumi e macchia mediterranea. In bocca è un 40% affabile, ha buona lunghezza ma rimane a metà fra l’essere considerato più avvolgente o più fresco. Si fatica un poco a contestualizzarlo, sicuramente gustoso e ben fatto ma pare stentare a esprimersi con un carattere distintivo e peculiare.
Fra i 20 e 25 euro, è sicuramente un gin da miscelazione di qualità, per chi cerca un cocktail altamente espressivo del Sinis ma più “disteso” sotto il profilo gustativo.
Sul bordo delle etichette dei 3 Pigskin (Silver, classic, Pink) si legge la scritta: “Distillate of juniper berries and botanicals selected of the kingdom of Sardina“. Il messaggio è emblematico e rappresenta ancora una volta tutto lo scrupolo e la genialità che muovono l’azienda nella commercializzazione e nella comunicazione di ogni prodotto partendo dalla condizione necessaria dell’eccellenza qualitativa.
Anche lo stesso nome “pigskin” pare sia stato ideato da Elio dopo un incontro ravvicinato con dei cinghiali che, invece di fuggire, sono rimasti impavidi a guardarlo durante la raccolta delle botanical.
Il rapporto qualità/prezzo sale a eccellente sul Pigskin in versione classica. Qui sono maggiormente marcati sia il terziario vanigliato che l’apporto gusto-olfattivo di elicriso, timo e ginepro coccolone – una più rara e tipica varietà isolana –
Ne esce un distillato signorile, sempre 40% di alcol, che però riempie i sensi. Qualcuno potrebbe definirlo troppo piacione o seducente ma non è questo che conta: per me il gin trova pienamente la sua contestualizzazione in quella fascia di appassionati che esigono una bevanda completa e dinamica che passa dal ricordo di burro di cacao e arriva alla frutta secca passando per note di cedro, piante aromatiche della costa, il finocchietto e vaghi rimandi al miele di castagno.
Soggettivamente, non è il genere di gin che preferisco ma, oggettivamente, i suoi 25/30 euro sul mercato sono molto meno di ciò che vale per chi cerca questa tipologia o chi vuole bagnare del cioccolato al latte ad alta percentuale.
Grifu
Si narra che tale Efisio Pilloni fosse un distillatore e scaltro contrabbandiere sardo. Fu dalla gente soprannominato il “Grifu” a causa della sua latitanza tra le rocce e gli arbusti della macchia mediterranea, dove amava nascondere il suo famoso distillato di ginepro e piante selvatiche.
La leggenda vuole che due pastori abbiano poi ritrovato, a tanti anni dalla sua scomparsa e all’interno di un ginepro secolare, delle bottiglie interrate e delle botti con inciso un grifone assieme a un taccuino con disegni e ricette.
Al mito di Pilloni si ispira oggi la linea “Grifu” di Silvio Carta. Ne ho assaggiati 2 in azienda ed entrambi mi hanno pienamente convinto – il terzo uscito da poco, come premesso righe sopra, l’ho assaggiato a Verona -.
Il Grifu Limù è estremamente fresco, vibrante, con un 41.5% di titolo alcolometrico ben svolto e integrato. Ha profumi inebrianti e l’aggiunta di agrumi dell’orto aziendale gli dona un tratto vivace e davvero fragrante. Al sorso il suo alcol è percettibile ma spinge senza mai aggredire davvero.
Una lunghezza di sapori davvero ragguardevole con finale sapido di alto profilo. Lo trovate sulla trentina di euro, pochi davvero per una bevanda che trasmette l’essenza di un territorio con questa esuberanza.
Un prodotto sicuramente perfetto per la miscelazione così come lo è altrettanto il Grifu “classico” dall’etichetta azzurra.
Come già premesso, quella di Silvio Carta è una collezione di gin che, sommato tutto, si ritrova difficilmente altrove. Ogni etichetta supera l’asticella della qualità, ancor più se ne valutiamo poi il valore sul mercato. Su otto assaggi ce ne sono stati però due che mi hanno letteralmente galvanizzato e uno di questi è proprio il Grifu.
Un vero soffio di brezza marina, fra mirto, iodio, alghe e lentisco che letteralmente ti avvolgono e ti riempiono di fragranze come un respiro a pieni polmoni sulla cima di una roccia del litorale.
Pregevole davvero il lavoro fatto sia sulle botanical che in distillazione, per niente banale condurre la via aromatica con questa intensità e pulizia senza mettere in primo piano frutta ed essenze di più facile approccio.
Il persistente finale succoso acquieta un bel 43% di alcol non invadente e, con i suoi ritorni di salvia e mentolati, te lo fanno immaginare protagonista in un drink preparato da un barman di quelli bravi in un locale che non butta gente dentro ma che la fa accomodare per servirla con cura.
Giniu
Arriviamo infine al Giniu, lo storico distillato aziendale che compie 10 anni proprio nel 2023. Riferimento produttivo che si rifa ancora una volta alle storie della Sardegna del secolo scorso perché giniu fu, come già premesso, il nome che prese il distillato di giniperu in una intensa attività post-bellica di produzione superalcolica casereccia e vendita di contrabbando.
Packaging ancora una volta d’impatto, bottiglia solida con linee che ricordano le fiaschette da taschino anni ’50, tappo pesante in acciaio lavorato e, poi, il cofanetto che lo eleva anche a esemplare e rappresentativo souvenir.
Approccio sensoriale elegante, ancora una volta espressivo di botanicals territoriali che si distendono nei secondi senza opprimersi l’un l’altra e bilanciamento tattile che, lo immaginiamo, mette tutti d’accordo sia in Italia che altrove.
Siamo su un prezzo che oscilla fra i 50 e 60 euro e, analizzato il liquido, la storia e il confezionamento, ci pare ancora una volta una richiesta ineccepibile.
Se vorreste concedervi una spesa più impegnativa ma, al tempo stesso, comprendere quale livello di sublimità in Silvio Carta sono riusciti a raggiungere con gli alambicchi… allora puntate all’esclusività di Giniu 517, bevanda assolutamente impressionante e, consentitemi, indimenticabile.
Partiamo dalla sostanza: vera e propria selezione di bacche raccolte a 1500 metri nell’appezzamento della particella – appunto – identificata n. 517 che Elio Carta ha voluto poi trasferire non solo nel nome dell’etichetta ma anche nella percentuale alcolica.
Si arriva così a portare al naso un gin di 51.7% che non veicola assolutamente imprecisioni olfattive eteree ma inebria con balsamici soffi di macchia mediterranea, note salmastre, delicate sfumature di agrume e lievi tocchi pepati.
La magnificenza arriva al sorso. Occorre essere consapevoli quando si lancia un guanto di sfida tale perché riempire la bottiglia con oltre la metà di alcol significa rischiare di aggredire le papille del consumatore, frastornarle nella percezione e, magari, mandare a monte un lungo lavoro di ricerca e miscela delle essenze.
Giniu 517 è esemplare, pizzica soltanto leggermente in entrata e poi avvolge inebriando con complessità e persistenza. Inutile snocciolare i riconoscimenti odorosi, essere ripetitivo non ha senso, ma sorprende soprattutto il “come” questi profumi si svolgano e si replichino nei secondi ed evitando tra l’altro quel pericolo assuefazione e anestesia che l’etilico così concentrato può sempre portare.
Finale tipico e infinito di ginepro ed erbe di altura con scivolo sapido, succoso, assolutamente sublime che diluisce la morbidezza alcolica e ti porta istintivamente la mano a una nuova presa per il riassaggio.
Eccellenza vera e indiscutibile reperibile anche a poco sotto i 200 euro. Un investimento oneroso economicamente ma che dà la sensazione di appagamento nel possedere un pezzo realmente pregiato con decanter platinato e scintillante di gran classe.
Sarò dissacrante – e me ne scuso solo in parte – ma riterrei un vero oltraggio al divino non berlo liscio a temperatura ambiente o poco sotto… “abberere“, “abberere”!
La Silvio Carta oggì rappresenta così una Sardegna alcolica di espressione davvero moderna, consapevole che la storia e l’unicità dei propri luoghi sono l’essenziale punto di partenza e di arrivo su cui sviluppare competenza, genialità e lavoro costante.
Un’azienda che Elio Carta ha rilanciato nel nuovo secolo ponendo solidissime basi per il prossimo futuro con umiltà e orgoglio, con genialità e saggezza, con esperienza e apertura mentale.
Non si arriva qui se non si lavora duramente e se non si hanno cultura e sensibilità, se non si sollecitano nervi e cuore.
Alle 18.00, prima di tornare alla sua scrivania, Elio mi ha lasciato con un assaggio e un dono: il suo appena imbottigliato Vernaccia di Oristano riserva 2002 di grandissima espressività sensoriale e spirituale.
Lo ha chiamato “Per te” e concentra odori, sapori ma soprattutto quei valori che lo rappresentano come uomo prima ancora che come imprenditore.
Sul cofanetto e sulla bottiglia due frasi – riportate anche sul nuovo gin – che non meritano commento ma solo lettura e introspezione: “A tia prenda stimata sola meri de su silentziu miu” e ancora: “Non chiedermi di non amarti: non posso, ti amo“.
Abbiamo aperto con poesia e chiudiamo giustamente altrettanto.
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