Salute, ambiente, mercato, innovazione: quanti temi agli Stati Generali del Vino e quanti scogli ancora da superare. Fra politica e stakeholder c’è un futuro che va affrontato insieme.
Una giornata dove si è cercato sostanza, dove l’incontro aveva un significato speciale nonostante i progetti, talvolta, rimangano semplici promesse di fine mandato. Alla fine, gli Stati Generali del Vino, sono stati dibattito di qualità e, per i risultati, per adesso ci speriamo e poi vedremo.
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E’ stato l’Ufficio del Parlamento europeo in Italia, in collaborazione con la Rappresentanza italiana della Commissione europea a organizzare gli Stati Generali del Vino attraverso la piattaforma insieme-per.eu, un progetto nato per coinvolgere il maggior numero di persone possibile nella vita democratica dell’Europa – anche per incoraggiarle a partecipare alle elezioni europee del 2024, non lo diciamo noi.. lo dicono espressamente loro -.
Viticoltura, il legame tra territorio – cultura – vino e tradizioni locali, le oltre 1600 denominazioni vinicole IGP e DOP con il nuovo regolamento (anche per l’etichettatura) e quella tutela che ne favorisce la qualità, l’export e il turismo: tutti argomenti che sono attualmente competenza esclusiva dell’UE.
Ieri a Roma si è dibattuto molto, i rappresentanti delle istituzioni europee, dei principali enti territoriali, delle associazioni di settore c’erano praticamente tutti e con brevi interventi hanno portato contributi che – perdonate il parallelismo – hanno disegnato un quadro dalle tinte luminose ma su cui occorre necessariamente spennellare con nuovi colori e ritoccare qualche angolo che merita restauro, così come necessità uno scrupoloso controllo la costante formazione di piccole crepe strutturali sul telaio che lo sorregge.
Produzione, mercato e competitività: 3 parole chiave da cui cominciare a sciogliere intrecci che coinvolgono migliaia di lavoratori e miliardi di fatturato. Lo scorso anno sono stati 7,8 i miliardi dell’eno-export italiano (record storico), per il relatore della Riforma delle IG in Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Paolo De Castro: il vino italiano è così «un settore straordinario» che prosegue a imbattersi in rischi da cui difendersi.
E’ inutile nascondersi sul fatto che la decisione presa dal Governo irlandese sull’etichettatura sanitaria e l’effettiva attuazione avvenuta qualche mese fa ha smontato gli entusiasmi delle vittorie ottenute in commissione BECA per la rivalutazione di cosa significhi abuso e cosa consumo consapevole.
Sicuramente dal panel n.1 degli Stati Generali “Le Politiche ed il quadro Regolamentare dell’UE per il settore del Vino” si è capito che l’attuale presidenza spagnola UE è dalla “nostra parte” e quantomeno non sta mettendo i bastoni fra le ruote mentre proseguono ampie divergenze fra nord e sud d’Europa sull’interpretazione del consumo di alcolici e la conseguente legislazione che non riesce a trovare una linea comune e definitiva anche quando sembra che tutto sia risolto.
L’esordio di ieri in Campidoglio è stato comunque, di prima mattina, quello del Ministro MASAF Francesco Lollobrigida che dopo essersi autoincensato – non arricciamo troppo il naso, lo avremmo fatto tutti [nda 1] – per le norme firmate in aiuto per gli eccessi di stoccaggio e per gli ulteriori 6 milioni stanziati per gli interventi previsti dal Fondo di solidarietà nazionale in favore delle aziende colpite dalla peronospora, ha precisato di quanto anche si confidi nelle stesse per l’attuazione delle best practices previste dalla Politica Agricola Comune – la mettete voi la mano sul fuoco, vero? [nda 2] -.
Lollobrigida ha tenuto anche a ricordare della recente pubblicazione del bando OCM vino mirato alla trasparenza «necessaria in ogni azione che preveda uno stanziamento economico europeo» prima di chiudere con fiero patriottismo da Sovranismo Alimentare: «Tante nazioni producono vino di buon livello, ma l’Italia è insuperabile, tanto che il nostro export sta continuando a crescere. Il turismo enogastronomico, è uno degli attrattori principali: i turisti vengono per mangiare e bere bene».
Il ministro, prima di salutare, ha versato del “carburante” per il confronto a venire citando l’UE e su come «…dovrebbe fare di più per far rispettare la libera circolazione e vietare etichette allarmistiche. L’Europa dovrebbe ragionare su etichette che informino sul corretto uso di qualsiasi alimento, compreso il vino».
L’europarlamentare Paolo de Castro non è stato tenero con quanto accaduto ultimamente sui banchi della Commissione dove si è riportato nuovamente il tema delle etichettature quando tutto pareva ormai filare per il verso giusto. La decisione dell’esclusivo utilizzo del QR-code informativo è stata rimessa in discussione da chi pretende (nonostante gli accordi già raggiunti) di affiancarlo a un’etichetta esplicativa sui danni provocati dall’alcol. La “vittoria” ottenuta mesi fa in commissione BeCa è stata di fatto “incrinata” da quanto attuato in settimane fa dall’Irlanda a cui nessuno ha potuto opporsi e che oggi diventa strumento per nuovi dibattiti seppur ci si trovi a fine legislatura.
Il fatto che a giugno 2024 si rinnoverà il Parlamento europeo è anche il motivo per cui poco altro si metterà nero su bianco da qui a 9 mesi, almeno su ciò che genera importanti frizioni fra le parti.
Lo ha confermato anche nel suo ottimo intervento l’europarlamentare (e Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale) Herbert Dorfmann secondo cui, per riparlare di Nutriscore, dovremo eventualmente attendere la nuova legislatura (temi troppo richiosi da affrontare in concomitanza alla campagna elettorale).
Paolo De Castro, su questo, ha poi auspicato che si riesca a capire di quanto i popoli mediterranei diano «al vino un aspetto culturale di tradizione con consumo moderato distribuito nella settimana» mentre nei Paesi anglosassoni «concentrato nei giorni del weekend, di fatto alla ricerca dello sballo più che della degustazione».
Roba abbastanza pesantuccia da dire che potrebbe anche innervosire la controparte se davvero non si pensasse soprattutto alle elezioni. Il futuro rimane un’incognita comunque per tutti se è vero – ed è vero – che l’Irlanda stessa (come ha ribadito De Castro) dovrà un attimino guardarsi anche in casa (birra) se vuol enfatizzare che l’alcol è nocivo.
Altro aspetto su cui per De Castro serve necessariamente un’immediata soluzione sono le Tecniche di Evoluzione Assistita: «Sulle TEA la Commissione Europea ha aspettato troppo per metterci sul tavolo il 5 luglio scorso questa proposta legislativa e ci auguriamo che si possa fare in fretta con la presidenza spagnola che in effetti sta accelerando molto su questo tema. Il settore vitivinicolo è uno dei primi che potrebbe beneficiare di questa innovazione, grazie a varietà resistenti a peronospora e oidio senza uso prodotti chimici. E’ questa la strada della transizione ecologica: innovazione […] La Corte dei Conti può dire ciò che vuole».
Già… la Corte dei Conti europea ha rappresentato in questi Stati Generali il virtuale “avvoltoio” sulle spalle dei relatori. “C’era Corte nell’aria” a ogni intervento di Roma perché le parole di Joëlle Elvinger, membro della Corte dei Conti europea responsabile audit, hanno lasciato ferite pruriginose.
La decana lussemburghese, esprimendo l’opinione comune della Sezione, aveva giorni fa sottolineato che: «Sviluppare la competitività del settore vitivinicolo è essenziale e pertinente ai fini dell’UE, ma deve andare di pari passo con una maggiore attenzione alla sostenibilità» e, per i magistrati contabili della Corte, nonostante i viticoltori ricevano dall’Unione circa 500 milioni di euro annui per ristrutturare i vigneti e la competitività, la politica vitivinicola europea non ha raggiunto i risultati attesi per l’ambiente.
Le TEA, come accennato da De Castro, sono certamente uno strumento essenziale per il futuro ma molto interessante è stato quanto precisato dall’europarlamentare Herbert Dorfmann – già introdotto sopra – in merito alla sostenibilità e all’interpretazione della stessa perché ne esiste una ecologica ma anche una economica: «L’ambiente è un bene pubblico però anche un posto di lavoro è un bene pubblico. Un paesaggio è un bene pubblico ma anche l’economia di un paese è un bene pubblico. Servono strumenti per raggiungere gli obiettivi».
E sulle TEA è tornato pure un brillante Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura, per cui non si può più rimandarne l’adozione per riuscire a vincere le sfide che ci aspettano in questi momenti così complicati.
Per il presidente, proprio una vendemmia in calo volumetrico come questa e che potrebbe vederci sotto la Francia per quantità, dovrebbe trasformarsi in un’opportunità per farci correre ai ripari con nuove strategie. Quali? Partiamo dal suo paragone…
Il paragone sulla sfida Italia-Francia scomodato da Giansanti è stato un po’ sui generis (richiamando la saga animata di Wile Coyote e Roadrunner e facendo un po’ di confusione sui nomi) però estremamente illuminante perché serve correre (e molto veloce) soprattutto in questa fase di lieve difficoltà, invitando: «tutta la filiera a ragionare su come ripartire riprogrammando le sfide e il nostro percorso. Molto spesso l’euforia può portare a commettere degli errori anche agli imprenditori più avveduti».
Il tema dealcolato (prevalentemente europeo fra uso e abuso), quello del biologico (nel 2023 alcuni coltivatori bio nel 2023 hanno fatto più trattamenti dei convenzionali), quello del: «volersi far male» nel recupero delle materie prime (vetro e cartone) nel mondo e dati che paventano il rischio di perdere il 70% della produzione di vino con tagli UE all’uso di prodotti chimici in agricoltura (Sole 24 Ore, ricerca Agrofarma riportata anche da Qualivita)… sono aspetti che non possono essere minimamente sottovalutati.
Giansanti ha ricordato che il vino italiano è presente con successo in ogni mercato ma che: «il mercato è dinamico, competitivo, sta cambiando, si rivolge ai giovani e si segmenta sempre di più in base alle classi di età».
Sarà quindi essenziale trovare l’equilibrio fra: «un mercato maturo che dobbiamo mantenere e non svalutare» e quello in divenire: «[…] sono stato più volte in Canada dove si fanno tanti cocktail con base dealcolato» nel momento in cui oltre il 50% della produzione italiana finisce all’estero.
Insomma, piaccia o non piaccia (al consumatore italiano non comprendiamo perché dovrebbe forzatamente piacere, mentre all’imprenditore non capiamo perché non dovrebbe a prescindere) il dealcolato – dicesi de-alcolato – è un prodotto in rampa di lancio che finirà comunque (siamo onesti) a fare a spallate con gli sciroppini d’uva già lanciati da tempo in altri Paesi.
Nutriamo poi seri dubbi che per il dealcolato si possa convincere il consumatore minimamente avveduto a percepirci tutta la tradizione, l’inimitabile territorio e la qualità del “made in Italy“.
Comunque… se il problema è fare i numeri e vendere ai mercati dove l’alcol è (almeno di facciata) bandito per legge… allora ok. Ma il problema, da ciò che dicono i veri protagonisti e non certamente i media, non dovrebbe essere solo il volume, anzi…
Davvero incisivo anche l’europarlamentare Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo ECR Commissione per l’Ambiente, che sottolinea l’unione fra le forze politiche italiane a Strasburgo indipendentemente dall’ideologia sul tema consumo/abuso e di quanto serva comprendere che: «Esiste un piano spirituale: il vino è parte integrante persino della nostra spiritualità all’interno della nostra civiltà».
Tale coesione nazionale non è invece tangibile in Commissione UE Ambiente dove: «fra i rappresentanti europei c’è minor trasversalità, è permeata di una componente ideologica più forte che rende più difficile il dialogo, la comprensione reciproca e le sintesi di buonsenso».
Procaccini ha espresso forte preoccupazione per il dossier legato al packaging che sta procedendo nel suo iter legislativo e per cui: «cercheremo di gettare la palla in calcio d’angolo prima che l’arbitro fischi la fine. […] E’ condivisibile l’esigenza ambientale che coinvolge il settore degli imballagi ma non possiamo tornare indietro anche rispetto alle conquiste raggiunte con l‘economia circolare e andare dritti sparati verso il riuso perché considerata non più sufficientemente green».
Gli stakeholder principali presenti agli Stati Generali hanno contribuito con la loro esperienza e con concetti che rispecchiano un pensiero che conosciamo da mesi e comunque in piena linea con quanto anticipato nel panel dalla politica.
Anche Albiera Antinori, Presidente del Gruppo Vini Federvini, ha biasimato il documento della Corte dei Conti Europea definendonolo come: «vento sciroccoso portatore di atteggiamento sospettoso» che ha valutato solo la parte numerica senza considerare l’immagine che il movimento vitivinicolo ha saputo proporre e guadagnarsi attraverso gli investimenti.
E ancora sul packaging: «Le regole vanno benissimo, così come cercare di fare le cose sempre più green ma non può partire un treno ogni giorno con normative che vengono catapultate e alcune senza pure senso per noi… spingerci al riuso del 10% di ciò che inviamo nel mondo è praticamente impossibile, di che stiamo parlando?»
Lamberto Frescobaldi, Presidente Unione Italiana Vini, ha rimarcato l’importanza dei sostegni per un settore in estrema salute ma che dovrà necessariamente attuare presto le strategie per mantenere i risultati ottenuti: «In questi ultimi 20 anni si è assistito a una crescita straordinaria nella richiesta di vino italiano, arrivata fino al 27% ma da qui al 2035-39 la crescita rallenterà fino al 7% a causa di un mondo che sta cambiando. I contributi erogati finora dall’Europa alle cantine hanno comunque dato una ricchezza fenomenale al nostro settore, sostegni che serviranno ancora e adeguati perché il vigneto-italia necessita ancora di importante rinnovamento per favorire la competitività del nostro settore».
Frescobaldi ha precisato di come non preoccupi tanto il presente quanto il futuro: «Quella della Francia sui volumi 2023 è una “medaglia di legno” perché il valore medio del nostro vino è assai più basso e non dimentichiamoci che varie regioni italiane chiedevano ad aprile la distillazione di crisi prima che arrivasse la peronospora ad abbassare in modo drastico le quantità e oltretutto, a fine luglio, il volume del nostro magazzino-Italia era comunque il più alto mai avuto. Il vigneto Italia è comunque in grande spolvero». Il presidente UIV ha quindi prospettato queste strategie: «1) Rivedere le rese per produrre meno e meglio. 2) Rimodulare le autorizzazioni all’impianto che necessitano vera meritocrazia nell’assegnazione. 3) Stilare un regolamento della sostenibilità italiana e europea per giocare tutti correttamente allo stesso tavolo».
In chiusura, Frescobaldi ha chiuso con una precisazione segnando una virtuale linea sul campo: «Vino e superalcolici sono cose diverse e anche il consumo fra i giovanissimi lo dimostra».
Sono stati davvero molti gli spunti forniti dal 1° panel degli Stati Generali, riteniamo giusto fermarci qui e tirare le somme parziali perché immaginiamo, viste le battute dell’articolo, una lettura già di per sé estenuante e non vogliamo abusare oltremodo della vostra pazienza.
Tratteremo a posteriori il resto della giornata che ha affrontato temi legati ancora allo sviluppo sostenibile e poi alla promozione, l’internazionalizzazione e la capacità del vino di essere driver del turismo esperienziale ed enogastronomico.
La prima mattinata della giornata di Roma è stata probabilmente quella più sentita, quella più propositiva e quella più difficile da digerire perché, fra le aspettative italiane e i risultati, ci sono le ambizioni, le convinzioni e gli interessi di altri 26 Paesi che più di una volta hanno cozzato contro i nostri obiettivi.
La seconda parte degli Stati Generali del Vino, per quanto utile, significativa e proficua, ha affrontato tematiche dal fine tutto sommato più abbordabile se la volontà del Governo (attuale e di quelli che verranno) sarà quella di mantenere promesse e attenzione al settore (non immaginiamo di come si possa fare altrimenti).
I temi del “consumo moderato vs abuso”, quello del “dealcolato vs vino vs spirit”, quello del “parziale riuso vs riciclo” sono questioni estremamente divisive che non solo generano conflitto ma (come abbiamo percepito) anche incertezza per gli investimenti a valle.
Quanto la sostenibilità ecologica possa permettersi di annientare ogni logica economica del singolo Paese è un caso che sicuramente continuerà a incontrare dispute e revisioni almeno per il prossimo futuro anche in altri settori – emblematico quello dell’automotive e dei combustibili… pensate sia davvero finita qui? –
Di certo, sicuro e improrogabile ci sono senza dubbio le elezioni europee 2024: gli Stati Generali del Vino sono stati organizzati dalla politica per le aziende, per i cittadini ma, anche e particolarmente, per la politica stessa che ha avuto l’opportunità di fare il punto su quanto fatto – e non è stato poco per il mondo del vino, almeno a nostro davvero disinteressato e davvero immodesto parere – e su quanto si potrà lavorare nel caso in cui, con la scheda elettorale di giugno, il cittadino confermi la fiducia a questi volti (di ogni sponda).
Destra, centro o sinistra, la sensazione è che, se parliamo di vino, i nostri rappresentanti a Strasburgo e Bruxelles siano molto più coesi di quanto lo siano sulle politiche di immigrazione.
Comunque, da fine primavera, possiamo affermare che la 2023 sia diventata un’annata complicata per l’Italia non solo in vigna ma anche sui tavoli dell’Europa dove si assiste a un continuo confronto (talvolta scontro) fra una veduta più intransigente e una più pragmatica.
Dopo il colpo subito dall’Irlanda, quello dalla Corte dei Conti e quello sul packaging… vediamo quanto saremo bravi a tenere botta e stringerci compatti per la difesa a oltranza e marcatura stretta. Se necessario, fino a giugno con palla in corner o in tribuna e scorrette perdite di tempo… ma poi tornerà il tempo del dover fare e il futuro dovrà essere affrontato e scritto insieme, con estrema cautela e senso di responsabilità.
fonte: Ufficio del Parlamento europeo in Italia
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