Zibaldone di assaggi vintage, esperienze sensoriali ed emozioni vere da Terre di Toscana 2024.
Il concetto non è assolutamente banale per un giornale web, rifletteteci: il rischio di ripetersi nel fare un reportage di questo evento è altissimo… ogni anno ribadisce l’ottima organizzazione, l’altissima qualità delle aziende partecipanti, un’atmosfera sempre gioiosa e, aggiungo pure, ogni volta che vi ho partecipato mi sono anche sempre divertita molto (questa è stata la mia sesta edizione, nonché sedicesima della manifestazione).
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C’è chi aspetta Terre di Toscana come l’annuale fiera di paese, chi lo paragona alla versione regionale di Vinitaly e chi si prepara febbrilmente studiando aziende ed etichette in esposizione… stavolta io mi sono lasciata trasportare dalle sensazioni del momento, fronteggiando anteprime d’obbligo e degustazioni vintage. La dea bendata è stata dalla mia parte regalandomi bellissimi incontri, vecchi e nuovi.
Aggirarmi per i banchi di assaggio, individuare novità, ascoltare suggerimenti di amici e di persone appena conosciute, lasciarmi sedurre dalla simpatia di un produttore, o dalla fila davanti al banco, partire da casa organizzatissima con un elenco preciso e dettagliato delle degustazioni programmate per poi, una volta lì, chiudere il quaderno e fregarmene altamente del piano d’attacco… niente di tutto ciò. Non seguirò un filo logico del percorso fatto, vi proporrò verticali incredibili, assaggi di annate davvero vecchie, ma anche anteprime e confronti di vini e vitigni: insomma, un vero e proprio zibaldone.
Per tutta questa matta giornata solo una vera amica di lungo corso come l’esperta degustatrice AIS Mari Bertini (Albertinewinerecherche) poteva affiancarmi e aiutarmi nelle note di degustazione. È qui che inizio a raccontarvi la nostra esperienza di un fine marzo all’Una Hotel di Lido di Camaiore sfidando il rischio di lungaggini, reiterazioni, banalità e luoghi comuni.
Bianco e rosso dal cuore di Toscana
Cominciamo dall’annata 2021 con due fuoriclasse: Chardonnay di Capannelle (Gaiole in Chianti SI), maestria di eleganza per questo monovitigno 100% dal colore paglierino sfavillante, parabola di accattivanti sentori verticali di cedro e curvature esotiche di ananas, litchi e granadilla, accenni gessosi e freschezza disponibile lungo tutto il persistente e compatto sorso. Il Chianti Classico di Tenuta di Corleone (Radda in Chianti SI) ha proposto un sangiovese 100% dai profumi varietali e didattici di ciliegia, fragola e ribes rosso, dolci e maturi ma fragranti e succosi, dall’acidità spiccata e tannini fruttati.
Outstanding vs Excellent Bolgheri
Non perché ci piace vincere facile ma… che dire di Sassicaia? Tenuta San Guido ha offerto il (minuscolo) assaggio del più famoso cabernet del mondo per guidarci con mano sicura attraverso la balsamicità mediterranea nei profumi di mora di rovo, mirtilli, lamponi e prugne, tutta frutta nera ritrovata nei tannini che, seppur ovviamente giovani, hanno indotto il sorso a riflettere sull’armonia dei sapori che sguazzavano felici nella nota alcolica importante vivacizzata da incredibile freschezza e persistenza lunghissima: si vocifera che quest’annata sia una delle migliori in assoluto, non possiamo dirlo, purtroppo ci mancano i metri di paragone, senz’altro il (ribadisco) minuscolo assaggio ha provocato un’emozione superiore alle aspettative.
È sempre Bolgheri e l’anno 2021 che hanno proseguito ad attrarre la nostra curiosità Abbiamo voluto confrontare le aziende e magari anche le diverse vendemmie dello stesso produttore. E’ arrivata, così, puntuale Tenuta di Biserno con il suo Biserno (blend di cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e petit verdot) che esprimeva la fragranza della pineta marina e della frutta scura nel sorso sapido e nella lunghissima persistenza supportata dall’aggressiva dolcezza dei tannini. L’abbiamo confrontata con la 2009 dove sono emersi i profumi dolci dell’anice stellato, dei peperoni rossi grigliati, tabacco e confettura di more che hanno spinto il sorso ancora vivace seppur moderato da astringenza morbida e vellutata: un altro blasone bolgherese, dalla meritatissima eccellenza.
Trebbiano e bianchi da angoli della regione
Cambiando colore nel calice, abbiamo messo alla prova Vea di Beconcini Wines, uno dei trebbiano macerati più importanti della Toscana. Un assaggio ancora su 2 diverse annate partendo dalla 2021: sgargiante nel colore paglierino e nei profumi di erica, elicriso e rosmarino che si rinforzano nella bevuta elegante e pulita dai ricordi di pesca gialla e cedro, scivolando sulla sapidità nelle intriganti note di chiusura. La 2019 splendeva di riflessi dorati a conferma dell’evoluzione ribadita nel bouquet officinale di camomilla, calendula, ginestra ed intense erbe aromatiche essiccate, con accenni fumé che all’assaggio si traducono in molteplici note fruttate di susina e pesca bianca per concludere in un finale di mentuccia, persistente e generoso.
Ma la magia del trebbiano non è finita qui: questo vitigno così bistrattato, eppure così ricco di soprese quando viene compreso e gestito in modo ottimale, dimostra di cosa è capace anche in zone “minori” come Lucca, Cortona e Carmignano, non ultima la sua longevità.
H’ama, di Valle del Sole (Cappella LU) proponeva l’annata d’esordio 2016 e ci ha regalato inaspettate freschezze attraverso effluvi di peperone giallo maturo, mandarino, limone maturo e cedro dolce, con delle paradossali note morbide di idrocarburo e con acidità e sapidità abili a rinfrescare il lungo e longevo sorso. Baracchi (Cortona AR) invece ci ha sorpreso con le sue bollicine nel Brut Trebbiano 2020, metodo classico millesimato che sosta 24 mesi sui lieviti per poi sprigionare fragranze di biancospino, cedro, sentori vegetali e balsamici che al palato hanno espresso solidità, freschezza esuberante lasciando una lunga scia ammandorlata.
Sempre il trebbiano, in questo caso procanico, viene poi scovato in un’interpretazione inaspettata di Capezzana (Carmignano PO) che ne offriva due versioni: la 2022 era di luminosità dorate e ampiezza olfattiva di ginestra, iris bianco, giglio giallo e resine di pollini, bastoncino di liquirizia, vaniglia e curcuma, tradotti in un attacco fresco e agrumato che evolveva in eleganti note di nocciole e tostature di tabacco biondo e infine sfumare la persistenza minerale. La 2007 (15 anni prima) era invece color oro antico brillante e orchestrava sentori di lavanda, giacinto dolce, tisana di camomilla e cera d’api in perfetta concordia con idrocarburi, zenzero candito, fico secco e salgemma per portare nel sorso, dall’ingresso tattile e voluminoso, cenni di confettura di pesca e albicocca e poi grafite che ne allungavano la durata verace di gusto e sapidità.
Chiudiamo l’excursus di vini bianchi toscani (sorprendenti anche per la loro inaspettata capacità di invecchiamento) con l’azienda Montepepe con due annate decisamente “agée” e intriganti a base di vermentino con saldi variabili di viognier. Vintage 2018 profumava di idrocarburo, frutta bianca e dolce, erbette aromatiche tra le quali emergeva il timo maturo che in bocca si trasformavano in morbidezza e gradevolezza di sorso. Monopole 2013 ha espresso i due vitigni attraverso la complessità fiorita di miele di acacia e millefiori per mostrare equilibrio e persistenza da spinta acida e un’intensa morbidezza.
Qualche grande rosso d’annata
Sappiamo di aver già elencato molto ma Terre di Toscana offre opportunità che non si possono rifiutare sia per l’assaggio che per il racconto: una selezione di rossi dalle vecchie annate più impressive. Grifi 1994 di Avignonesi (cabernet sauvignon 70% e sangiovese 30%) possedeva intensità e complessità già immaginate dal suo color terracotta e poi rivelate con tannini morbidi e profumati che si spegnevano sulla scia umami della persistenza. PerCarlo 2009 (sangiovese 100%) si è preso una rivincita sui profeti di annata giudicata all’epoca “incerta” a San Giusto a Rentennano e che invece è risultata ottima con l’attesa: profumi di arancia matura, la sua scorza essiccata e violette disidratate anticipavano un sorso carnoso, saporito e dalla lunghezza infinita.
Castello di Monsanto ha proposto il Chianti Classico 1974 Vigna Il Poggio, il cui colore ormai arancione trasparente spingeva effluvi di tabacco biondo, albicocche secche e cioccolato al latte per arrivare alla setosa percezione palatale di tannini in esaurimento ma acidità ancora incredibilmente viva.
Villa di Capezzana, infine, con Capezzana 2005 ci ha guidato in un “sentiero boscoso” color cremisi, profumato di humus, foglie e tabacco predisponendo la bocca per accogliere la morbidezza di un sorso fresco e vellutato slanciato verso signorile persistenza di aromi.
Verticali di prestigio
Fattoria Varramista ha concesso una verticale finalmente degna di questo nome, proponendo Syrah in ben cinque vendemmie diverse, che facevano capo alla parola ‘eleganza’ e che noi riassumiamo purtroppo brevemente in poche parole:
- la 2017 era confettura di frutta rossa e freschezza di mela annurca;
- eleganza e perfezione gustativa identificavano la 2012;
- l’identità varietale di pepe dolce si ritrovava nella 2008, complici ricchezza di gusto, acidità e persistenza;
- nella 2005 il colore si è fatto trasparente e pepe dolce e olive nere hanno fatto capolino su un percorso elegante;
- si è espressa ancora molto dignitosamente la 2003, in spezie nere delicate e tapenade di olive, tabacco leggero e raffinata eleganza.
Proponiamo infine un percorso a ritroso della nostra amata Montalcino, con i suoi Brunello migliori:
- la 2019 ha visto Rosildo di Franco Pacenti come l’amplificazione del tutto, con frutta dolce e gustosa nel corpo che riempiva la bocca, tannino giovane e lunga persistenza, e poi Giodo nella sua impeccabile perfezione.
- La 2018 si è distinta con Patrizia Cencioni e il suo sorso intenso e dissetante grazie all’acidità fruttata e floreale nonché alla vivacità, lievemente tabaccosa e tannica e poi Fattoria del Pino dove il colore già evoluto non ha impedito l’espressione succosa di fiori e frutta e l’assaggio del tannino speziato, vivace e fruttato supportato dall’acidità e dalle note morbide setose e avvolgenti.
- Nella 2013 abbiamo incontrato nuovamente Giodo e un Brunello ricco di tabacco e fiori secchi, humus, terziari dolci e delicati che arrivavano all’eccellenza tramite la beva delicata, elegante e armonica.
- Della 2008 Mastrojanni proponeva un liquido color terracotta, ricco di personalità e individualità espresse attraverso i profumi di succo di arancia stramatura, humus, sottobosco e spezie dolci per arrivare alla succosa e sapida freschezza dal tannino ancora in spinta propulsiva.
- È del 2004 il Brunello di San Lorenzo che ha raggiunto i nostri sensi attraverso la complessità di note ferrose, terra bagnata e sottobosco, amarene sottospirito, intensità di gusto amplificata dall’acidità e dalla persistenza senza interruzioni.
- Infine Poggio Cerrino 1998 di Tiezzi ci ha fatto spalancare i sensi con le trasparenze arancioni di un succo fresco, fruttato di arancia e ciliegia fragranti, dalle balsamicità esotiche che nell’incredibile acidità in alternanza con un tannino invidiabilmente vivace ci ha accompagnato nell’infinita persistenza della longevità da Highlander.
Siamo tornate a casa – io anche con il mio souvenir cioccolatoso di Tortapistocchi poiché non voglio farmi mancare nulla – con la convinzione che i vini siano fatti per essere assaporati nel momento giusto, ma è il consumatore a stabilire quando è il giusto momento. Se la vigna è sana e l’annata e la gestione in cantina sono di alto livello, possiamo contare sul lungo futuro anche per vitigni inopinati.
Eravamo felici ed ebbre non solo di alcol ma soprattutto delle esperienze che solo Terre di Toscana riesce a regalare a tutti. Lo siamo ancora, nel poterle raccontare a voi.
foto: Mari Bertini e Luisa Tolomei
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