Grappa e cultura a casa Villa de Varda: un prezioso scrigno di valori nel cuore della Piana rotaliana
Sentiamo spesso parlare di grappa e troppo sovente ascoltiamo le frasi fatte, gli accostamenti a stereotipi che non appartengono più a questo mondo. Svegliamoci, la musica è cambiata da tempo!
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Il suggerimento più immediato che diamo a chi vuole seriamente comprendere i valori, la tradizione, la qualità che sta alla genesi del distillato Grappa, è sempre lo stesso.
Toccare gli oggetti di lavoro con mano, annusare i profumi degli spazi aperti e al chiuso, guardare scrutando gli angoli più nascosti, ascoltare bene parole, pause e respiri di chi distilla… sono quei gesti che fanno la differenza ovunque siate e che fanno poi comprendere il vero “perché” di un assaggio.
Nella Piana Rotaliana c’è uno scrigno, sì, un forziere ricco di storia ed esperienze da scoprire che si tramuta di conseguenza in tangibile qualità all’assaggio.
Raccontare Villa de Varda non è semplice, credetemi. Non lo è perché i valori che esprimono il risultato finale sono tantissimi; non lo è perché gli oggetti del lavoro e dell’esperienza in azienda sono innumerevoli e ancora non può esserlo perché gli elementi conoscitivi di uno stile produttivo e della madre filosofia di vita sono talmente concentrati da ricordare proprio l’essenza della distillazione stessa.
Su queste pagine web possiamo limitarci davvero al sostanziale ma come in pochissimi altri casi vi suggerisco caldamente l’approfondimento in loco nel caso rimaneste affascinati dalla loro grappa o dai loro aneddoti.
Stille artigianali da teroldego e non solo…
Mezzolombardo è a circa venti minuti da Trento e dista circa sei chilometri da San Michele all’Adige. Nel Campo rotaliano il vino e la grappa sono risorse primarie, argomento e, spesso, pane quotidiano. Terra e sassi sono il suo inimitabile sostegno alle viti di Teroldego allevate con il tradizionale sistema a “Pergola“.
Tutto è tremendamente ordinato, tutto in estate pare così lineare, pulito, sfumante dall’indaco chiaro al verde onni-tono. Le strade si irrorano nella Piana come linfa nella foglia, la serenità pare la condizione necessaria per la conoscenza.
Quando nel 1865, con testamento scritto, Romedio Dolzan lasciò al figlio Michele la distilleria con due alambicchi (a fuoco diretto ovviamente) questa parte di Welsch Tirol viveva la fase di mezzo del secolo di dominazione austriaca con stati d’animo altalenanti ma sicuramente conscia del pregio della sua uva e del distillato che se ne otteneva.
L’epico patriota Cesare Battisti e l’immenso statista Alcide De Gasperi, illustri figli di questi luoghi, dovevano ancora venire al mondo per segnare a inizio secolo successivo la storia del Trentino e d’Italia.
La storia dei Dolzan distillatori ha di fatto oltre 170 anni, giunta oggi alla sesta generazione (Michele e Mauro) ma con la presenza ancora attiva del padre Luigi, Cavaliere della Repubblica italiana con alle spalle una carriera da imprenditore lungimirante di successo che ha saputo traghettare l’azienda verso il nuovo millennio guardando all’innovazione ma sempre conservando i valori dell’artigianalità, del lavoro serio, della famiglia.
Luigi Dolzan è stato anche colui che a fine anni ’80 trasferì la produzione negli attuali spazi, una svolta importante non solo per la ragione sociale (nuovo brand) ma anche per l’attività stessa tale da avviare così un nuovo percorso verso la fama nazionale e oltreconfine.
Ripeto: inutile dilungarsi e oltretutto su web ma alcune nozioni, seppur minime, ritengo siano esplicative di come Villa de Varda sappia interpretare quel concetto condiviso di artigianalità e accuratezza che accomuna tutta la grappa col tridente, nota per l’estrema eleganza e un processo di lavorazione in cui i distillatori si riconoscono da anni e applicano ispirati da ideali condivisi.
Quando il principale core-business aziendale è l’alto grado, non date così per scontato di constatare che buonissima parte della materia prima da mettere nell’alambicco si trova dentro la stessa proprietà. A Villa de Varda, le bucce delle uve con cui si fa vino Campo Maseri, una volta fermentate proseguono infatti il loro corso a pochi metri di distanza nel rame, dentro ai cestelli, pronte per essere riscaldate.
Un “metodo” identitario che non lascia niente al caso, che può arrivare a prevedere ben sei distillazioni usando caldaie di tipologie diverse e ripetuta rettificazione per l’estrazione del cuore più puro ottenendo un alcol nobile e digeribile.
Mauro mi mostra orgoglioso i gioielli di famiglia in serie, adesso a riposo ma pronti a riscaldarsi presto, a tornare a sbuffare fra qualche settimana con l’arrivo delle prime vinacce per la nuova grappa e del primo vino per diventare brandy di lungo invecchiamento. Prova a raccontarmeli sinteticamente in una calda giornata d’agosto quasi a sorpresa perché il mio arrivo non era previsto fino a due giorni prima.
Da una parte non vorrei abusare della sua estrema ospitalità, dall’altro starei ore ad ascoltarlo soprattutto per coglierne lo sguardo orgoglioso, quell’espressione inconfutabile di chi ama il proprio lavoro, sente di essere protagonista ma al tempo capisce di essere solo testimone di una storia, figlio di una terra identitaria, uno degli attuali primi attori di passaggio fra generazioni, varco umano e intellettuale fra chi (il padre) ha trasmesso la passione per quegli alambicchi e chi (figli e nipote) li ha già espressamente ricevuti in lascito dal nonno.
Sono questi i principi che rendono grande un’attività imprenditoriale a conduzione familiare, la coesione con il fratello maggiore Michele si respira a pelle. Il rischio che si corre in aziende come queste è sempre lo stesso: gli scorni e le discussioni sono situazioni quotidiane che si superano solo se c’è stima, se c’è vera fratellanza non di interesse ma di valori.
Resto sinceramente onorato non solo dell’accoglienza ma del privilegio di poter conoscere anche Luigi, personaggio straordinario che qui trasferì la linea produttiva e che qui ha riunito con abnegazione oltre 1600 pezzi museali fra antichi strumenti e utensili agricoli, di campo di cantina e di distilleria, che riescono a raccontare circa quattrocento anni di vita etnografica del luogo.
Le “Cose di Casa”…
“Cose di Casa” è un museo patrocinato dal Ministero dei Beni Culturali con pezzi originali in ottimo stato conservativo e quasi 300 documenti storici cartacei fra atti e fotografie che lasciano esterrefatti per l’integrità.
Le passioni di Luigi per l’arte, la musica, il lavoro, la tradizione, trovano in questo spazio la concentrazione, l’estratto, la quintessenza e tutto con una dovizia di descrizione didascalica e pulita. Sono i piccoli dettagli che fanno la differenza, qui come nei locali di produzione, di stoccaggio e infine, coerentemente, nel calice di grappa.
Sono numerose le sinergie con le istituzioni educative che qui trovano il contesto ideale alla formazione culturale. Così come è stato pensato per gli appassionati un percorso didattico che parte dalla vinaccia e arriva all’imbottigliamento. Sono idee ed esperienze discretamente diffuse nel mondo vinicolo ma molto meno in quello distillatorio soprattutto se guardiamo a realtà di medie dimensioni.
Una scaffalatura raccoglie ordinatamente le bottiglie etichettate in oltre 150 anni, da quelle del trisavolo Michele Dolzan intorno al 1860 fino ai giorni nostri. Una rassegna produttiva da interpretarsi come spaccato dell’evoluzione sociale passando dalla semplicità iniziale dei primi confezionamenti alle presentazioni colorate in voga negli anni ’50, dai sapori estroversi, aromatizzati e piacioni tanto apprezzati negli anni ’70 alla purezza gustativa minimalista dei giorni nostri racchiusa in decanter di armonia lineare esclusiva.
Il bello della conservazione della memoria è proprio questo: ogni epoca qui ha avuto la sua idea, ogni decennio ha avuto la sua sperimentazione più o meno fortunata. Grappa al miele, grappa al mirtillo, grappa alla liquirizia sono prodotti che ebbero grande riscontro e che oggi farebbero sorridere i cultori.
Stesso concetto per le bellissime “Confezioni ginepro” con rametto e oggettini in legno intagliato inseriti a incastro dento la bottiglia che cinquanta anni fa fecero “furore” e tendenza mentre oggi nelle menti dei consumatori sarebbero un mero souvenir svilente della qualità.
Sono ancora oggi sicuramente splendide da vedere le bottiglie soffiate a bocca dai maestri di Murano e usate per la linea di grappe “Caratteri“, un progetto (pensate) di trenta anni fa che univa il gusto all’astrologia grazie alla competenza e collaborazione di Luigi Veronelli e Lucia Alberti.
Ritorno al presente
Oggi prosegue la ricerca qualitativa ed estetica. I decanter e i cofanetti di grappe riserva come la “Vecchia Barrique” o la “Vibrazioni” o ancora il brandy stravecchio “1975” coniugano, almeno per me, l’odierno piacere estetico con il gusto richiesto in questo “terzo decennio del terzo millennio”.
E poi, nella continua sperimentazione a lungo termine (che, attenzione, impegna gravosamente qualsiasi seria distilleria), ci sono innovative soluzioni di affinamento e invecchiamento che puntano alla commistione di gusti e culture, una sorta di contaminazione di qualità fra chi persegue a livello internazionale gli stessi intenti e può raccontare una storia analoga.
Rappresentativa è in tal senso la Grappa Gran Riserva 12 Generazioni per cui i Dolzan hanno trovato nella famiglia Grant, distillatori nello Speyside da altrettante 6 generazioni, l’idonea partnership per sperimentare l’invecchiamento della grappa Villa de Varda in botti già usate per scotch whisky Glenfarclas.
Anche in Italia ci sono sinergie nate per le grappe riserva Villa de Varda da vinacce di Amarone Bertani, da quelle di Barolo Massolino o di Brunello di Castello Romitorio.
E poi ancora l’amaro Elixir Sancti Vigilii la cui pregiata ricetta fu resa testamento da Dolzan durante la Prima Guerra mondiale e che oggi si presenta con questo nome su espressa richiesta del Decano Monsignore della Cattedrale di Trento per rendere onore a San Vigilio, il glorioso principe vescovo della città di Trento e oggi patrono del Trentino.
Gli assaggi
Capite bene come la degustazione finale diventi così il logico epilogo di un’esperienza rischiando addirittura di subirne il condizionamento.
Ho assaggiato parecchio e ne avrei voluta ancora. Il palato la richiedeva e la mente ancor di più per meglio comprendere carattere, uniformità e differenziazioni fra le varie linee di gamma.
Come un esploratore alla ricerca della minuzia identitaria e del “fattor comune” ho messo il naso vagando di calice in calice (anche clamorosamente svariando da un ponderato ordine di degustazione), cercando di comprendere come la “mano” del distillatore abbia cercato di interpretare e provato a valorizzare le peculiarità della materia prima in base all’obiettivo da raggiungere, che fossero grappe giovani più immediate, riserve di invecchiamento vario, brandy riposato oltre 40 anni o amaro di lunga tradizione.
Capisco di essermi oltremodo dilungato e non redigo oggi le schede di recensione, un classico per i lettori di spiritoitaliano.net. Farò sintesi ma lascio comunque alla vostra attenta interpretazione le mie parole che immagino sappiano comunque trasmettere l’effetto sensoriale ed emotivo ricevuti da alcune etichette selezionate per voi.
Sono rimasto impressionato dalle grappe giovani, prodotti che solitamente non incontrano le preferenze del grande pubblico ma che agli intenditori sanno dare più di un’informazione sullo stile della Casa.
Lo confesso, ho provato a sollecitare il calice per forzare l’uscita di note smaltate, eteree che a una prima olfazione non sono emerse. Mi sarebbe bastata un po’ di vernice, ceralacca ma niente… Grappa di Nosiola (ricordate quale famoso vino DOC si produce con quest’uva?) di pulizia olfattiva didascalica, grande equilibrio tattile su sfondo aromatico di fiori bianchi, ananas e mela granny smith. Decisamente delicata e naturalmente meno ampia della “sorella coetanea” Grappa di Teroldego che mostra un ventaglio assolutamente articolato per la sua tipologia: violetta, ciliegia, ribes, aghi di pino che sulla lingua non pungono e lasciano spazio a un alcol splendidamente soave che riporta con distensione impressionante (è grappa giovane…) profumi di fiori e piccoli frutti rossi in retro-olfatto.
La grande predisposizione dell’uva Teroldego alla distillazione si ritrova anche nella Grappa riserva Campo Maseri dall’avvincente lungo percorso percorso sensoriale fatto di ciliegia, vaniglia, pepe rosa, amaretto, cacao con affabile apporto olfattivo dato dalla barrique ma che non delegittima la personalità della vinaccia.
Sublime all’inverosimile il risultato sulla riserva Vibrazioni. Un’idea universale che va oltre lo spirito e coniuga la forma d’arte musicale con il territorio. L’essenza delle piccole botti da invecchiamento è l’abete, quello rosso tipico della Val di Fiemme, quello della cosiddetta “Foresta dei Violini” perché particolarmente capace di “risonanza” e perfetto per la costruzione della cassa armonica dello strumento.
Antonio Stradivari da Cremona pare utilizzasse proprio questo legno per le proprie creazioni e l’idea di accogliere il signorile decanter in un cofanetto di abete rosso con le musiche di Paganini suonate con violino Stradivari 1695 da Salvatore Accardo è già di per sé elitaria.
La grappa poi rende ancora onore al vitigno “Principe” del Campo: grande varietà di aromi, dalla ginestra alla scorza d’agrume, dalla lavanda secca alla caramella mou, dalla gianduia all’albicocca in confettura e tutto condotto attraverso una superba dinamicità sensoriale e appagante lunghezza.
L’apporto prevalente del Pinot nero sul Teroldego nella Grappa Riserva Vecchia Barrique -Selezione Mauro Dolzan- offre aromi avvolgenti e meno diretti che vanno dalla ciliegia alla caramella d’orzo, tocchi burrosi e di banana secca che sfumano sulla nocciola tostata. In bocca il terziario appare preminente, la lunghezza c’è tutta così come la sua affabilità e la straordinaria bellezza del suo espositore fatto da un maestro artigiano trentino con le doghe di legno.
Sempre sullo stesso stile la Grappa riserva Pinot Nero Cortalta: bellissima da vedere e ammaliante in assaggio con ventaglio di spezie e tostature che pervadono i sensi e accompagnano il sorso con prevalenti percezioni di caramello, cocco, ribes, fiori gialli e cioccolato bianco.
Un vero capolavoro è il brandy 1975, un distillato di vino nato assieme alla sesta generazione. Secondo usanza, Luigi Dolzan decise di dedicarne al primogenito Michele una partita conservandola amorevolmente in cantina stoccata in rovere esattamente dal giorno della sua nascita. Imbottigliato dopo ben 43 anni è impossibile da dimenticare dopo l’assaggio per il suo bilanciamento tattile e la persistenza aromatica infinita di mandarino essiccato, tabacco, prugna con rimandi di sottobosco e balsamici che virano verso il caffè. Difficile imbattersi anche oltralpe in un acquavite di vino di tale spessore, con tonicità alcolica mai pungente e dove i profumi dell’invecchiamento non soverchiano i secondari.
In un’epoca di forte rilancio, bello anche il confronto finale fatto fra gli amari Sior Luppolo e Elixir Sancti Vigilii. Il secondo ha qualche marcia in più, davvero espressivo, da meditazione, di zucchero dosato e botaniche perfettamente distribuite. Il primo però pare nato per la miscelazione e si ispira alla storica coltivazione di luppolo che già durante l’epoca di dominazione austro-ungarica fu un fiore raccolto e utilizzato dagli oltre 50 micro-birrifici della zona.
Noi possiamo anche parlarne, voi potrete anche assaggiarne ma c’è tanto da scoprire in questo scrigno nella Piana rotaliana… un forziere di esperienze, lavoro, aneddoti, arte, tradizione, sapori, cultura e infine alcol da un uva, la Teroldego, che mostra tutta la sua innata attitudine a diventare grappa di eccellenza.
foto: Paolo B
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