Perdersi e ritrovarsi in una grande città e… in un grande Festival. Il nostro Whisky Live Paris 2024 (giro del mondo in 80 sorsi).
E’ passato esattamente un anno dalla pubblicazione del nostro “Manuale di sopravvivenza a un festival dal contenuto alcolico” (Salon du sake 2023) per cui è giunto il momento di provare a verificare se queste indicazioni sono ancora valide o hanno bisogno di qualche nuova release.
[si legge (più o meno) in: 6 minuti]
Siamo nuovamente a Parigi, a perderci girovagando tra Montmartre e la Basilica del Sacro Cuore per finire in quell’oasi di pace e silenzio che è il grande cimitero di Pere Lachaise, per l’ennesima saluto alla tomba del mitico Jim Morrison. Tutto questo in attesa di poterci finalmente dirigere verso quello che è uno dei più grandi eventi europei dedicati al mondo del whisky.
E visto che l’attesa cresce a dismisura, niente di meglio che una canzone dei Doors di Jim Morrison per prepararci e scaldare l’atmosfera, accendendo un fuoco che illumini tutto: “Light my fire”.
Una volta pronti, si parte, via in direzione della Grande Halle de la Villette, enorme spazio espositivo di oltre 15000 metri quadri, situato all’ingresso del grande Parco de la Villette, uno dei polmoni verdi della città, meta continua dei parigini che vogliono allontanarsi dal caos del cemento e respirare aria pura, in mezzo agli alberi.
Ma oggi i prati sono vuoti, tra i sentieri si vede solo qualche mamma con passeggino sparso qua là, tutti si stanno dirigono verso il WhiskyLive. E qui subito, non tornano più conti del nostro manuale, bisogna rifarlo daccapo, o meglio bisogna inserire la parte mancante: l’inizio. Manca il Capitolo zero!
Non appena raggiunta la destinazione balza subito all’occhio il problema. Una lunga interminabile fila ferma in attesa di poter entrare. Duecento, trecento metri di persone stipate, accalcate in modo quasi ordinato, seppur in fila per 3, per 4 e anche per 5.
Aiuto! E adesso?
Va subito inserito in apertura del manuale un incipit in grassetto che ricordi di tener sempre conto in anticipo delle “dimensioni” che un festival porta con sè. Un avvenimento importante implica numeri importanti. Presentarsi o con buon anticipo o con tanta (ma proprio tanta) pazienza. E possibilmente in compagnia per poter chiacchierare nell’attesa che sembra non passare mai.
Cominciamo allora a guardarci intorno, a studiare per intanto l’ambiente esterno, fino a quando arriva finalmente l’illuminazione che attendevamo sotto forma di una freccia con scritto “presse” che ci chiama e che, fortunatamente, ci guida a un’altra entrata che, soprattutto, è sgombra con solo una decina di altri addetti stampa tranquilli che stanno facendosi ispezionare zainetti e giubbotti prima di poter entrare.
La sicurezza innanzitutto, che in una città di Parigi prevede controlli meticolosi dovunque ci siano punti di ritrovo, monumenti, musei, assembramenti insomma.
Generalità
Siamo così dentro il Whisky Live Paris 2024, che quest’anno festeggia il suo 20° anniversario. Ne è passata di acqua sotto la Senna da quel lontano 2004, il festival si è sviluppato, è cresciuto, ha dovuto cercare nuovi spazi più grandi, fino a diventare un evento annuale essenziale per i professionisti del settore e i consumatori di whisky.
Con oltre 21.000 visitatori nel 2023, è ora praticamente la più grande fiera di degustazione di whisky al mondo, importanza che va a sottolineare che ormai il numero di distillerie di malti e cereali in Francia è in vertiginosa ascesa e ha quasi raggiunto il numero delle scozzesi (con litri prodotti ovviamente ben inferiori, vista la dimensione ancora piccola e artigianale nella maggior parte dei casi).
Ma dire whisky ormai è riduttivo, al di là delle centinaia di stand scozzesi, americani, giapponesi, francesi (abbiamo oltre 40 paesi rappresentati), ogni anno c’è sempre più spazio dedicato a tutto il variegato e complesso mondo dei distillati e liquori vari. Davvero vasta e consolidata è la Rhum gallery, ma ormai ben forniti sono anche Sake district, Gin Lane e, da quest’anno, il nuovo Patio dell’Agave oltre al consueto sciovinistico spazio dedicato alle espressioni francesi di Cognac, Armagnac e Calvados.
Insomma, una volta entrati ci troviamo in una confusionaria, magica esperienza di luci e colori che ci fanno capire cosa sia “Il Paese dei balocchi” e come mai il buon Pinocchio è riuscito a farsi convincere da Lucignolo a fargli visita.
Puoi esserti fatto qualunque programma come previsto dal manuale, puoi sforzarti quanto vuoi di mantenere la calma, l’aplomb, ma è inutile… capisci che non ce la farai mai. Impossibile non farsi trascinare in maniera spontanea e disordinata tra la successione continua di stand, dove il tuo bicchiere viene riempito senza sosta (per fortuna in maniera molto parsimoniosa, anche troppo, tanto che a volte fai un po’ di fatica a percepire gli aromi che si emanano).
Vista l’importanza dell’evento, per quanto cerchi di seguire il tuo piano prefissato, cominciano poi ad arrivarti i continui messaggini di tutti gli amici arrivati da ovunque: «Noi siamo da “Tizio”, venite qui? – oppure – un attimo che ci siamo fermati da “Caio”» e così via… peggio di Vinitaly. E’ incredibile come in queste occasioni finisci per incontrare tante di quelle persone con cui il resto dell’anno magari riesci solo a sentirti o a vederti in video. Sia che arrivino da paesi lontani sia da 100 km da casa. E sembra tutto come se fossi uscito con loro la settimana prima. Bella cosa la condivisione di comuni interessi!
Basta poco tempo per farti sentire come in un frullatore, trasportato dagli eventi e dalle circostanze. Ma l’importante è riuscire a mantenere la calma. Con qualche sforzo ed esercizio di respirazione controllata si può passare finalmente a qualche esame ragionato ed obiettivo come da programma.
Resta solo un altro punto non contemplato nel manuale, e che deve essere immediatamente integrato: in questo susseguirsi indiscriminato di soste, come ricordarsi poi qualcosa quando si ritorna a casa? Associare un’intensità più o meno pronunciata, un bellissimo sentore floreale piuttosto che agrumato a tutto quello che si è assaggiato non è facile, credetemi. La soluzione è una sola e va aggiunta come ottavo punto della versione 2.0 del manuale: prendere appunti.
Guardi in giro e trovi chi si porta dietro il suo prezioso quadernetto dove appunta tutto, chi invece registra sul telefonino, chi si limita a scattare foto nella speranza risultino poi ancora significative a distanza di giorni o mesi. Tenendo sempre conto che in questo tempio pagano, tutto è comunque frettoloso, concentrato, senza sosta, per cui le stesse conclusioni sono spesso frutto più dell’istinto, dell’esperienza, e sono soprattutto sensazioni che necessitano di sviluppi futuri.
(Finalmente…) il racconto: ma non solo whisky!
Aggiornato il manuale, possiamo finalmente addentrarci nei dettagli e, d’altronde, durante due lunghi pomeriggi di cose se ne sono viste e di tutti i tipi anche se non sono più questi i luoghi dei grandi annunci, delle grandi novità, ormai dilatate lungo tutto l’anno in momenti più circostanziati e dedicati.
Qualcosa di appena uscito si trova, certamente, insieme a nuovi packaging, design e confronti fra gamme. In franchezza vi dico che è stato estremamente difficile selezionare ciò che più abbia meritato il “ricordo ai posteri”: c’era davvero troppo e così cercheremo di seguire un filo logico – o illogico – in base al succedersi dei ricordi e al flusso delle emozioni che generano, cercando di bilanciare ciò che è stato whisky con ciò che non lo è stato…
Come punto di partenza (e ideale “vetta” da cui scendere) siamo finiti direttamente nella cosiddetta Area Vip che raccoglie tutto il meglio, la “crema” dell’intero mondo dei distillati, tutti. Piccoli banchetti ognuno dedicato ognuno a grandi eccellenze.
Sul Rum
Il via vai delle amicizie mi fa partire dal mondo dei rum, alla ricerca di un paio di uscite recenti che mi ero annotato da scoprire. Tra Rhum con la h e Rum senza, tra l’ennesima botte di Caroni (che sembrano non finire mai) e i sporchi giamaicani plastificati, smaltati ma sempre intriganti, gli obiettivi erano due.
Nine leaves: il triste epilogo.
Storia di un one-self-made-man giapponese che da solo si occupava, quasi come hobby, al termine del lavoro quotidiano, di gestire la sua amata distilleria, in tutti gli aspetti. Il Rum che sapeva di whisky, visti gli studi fatti presso la famosa Chichibu e l’utilizzo di due piccoli alambicchi pot-still derivati proprio dal mondo dell’orzo.
Storia appena finita per l’impossibilità di gestirla non potendo abbandonare l’incremento delle attività lavorativa primaria famigliare. Chiusura della attività e vendita in blocco di tutti i barili rimasti a magazzino, che si sono trasformati in una lunga serie di piccoli lotti dedicati al famoso gioco di carte giapponese Unsun Karuta.
75 diversi imbottigliamenti contraddistinti in etichetta da ognuna delle 75 carte. Per qualche anno siamo a posto! Per intanto ne erano presenti i primi tre, che non ci siamo lasciati scappare e che fanno rimpiangere questa bella esperienza purtroppo finita. Sic Transit Gloria Mundi!
Rum Flag series #6 La Maison du Whisky (i padroni di casa dell’evento)
Su richiesta di un amico rimasto a casa, una serie di piccoli imbottigliamenti dedicati ognuno ad un paese del mondo, che prendono il nome dalla bandiera del paese riportata in etichetta.
Siamo giunti alla sesta serie, che si dirige verso paesi “emergenti” nel panorama del rum, interessanti per quei particolari che donano loro un’intensa espressività e, a pieno grado, pronti a stuzzicare naso e palato con la loro forza di botte: Vietnam, Indonesia e SudAfrica… puro succo oppure melassa. Grande potenza ed espressione di aromi, novità da centellinare con calma per poter poi relazionare a casa.
Sul Calvados
Christian Drouin: l’artigianale si fa grande
Il nord della Francia vuol dire mele (e pere) e di conseguenza vuol dire Calvados che è la massima espressione della distillazione di questo frutto. Una miriade di piccole aziende, di piccole produzioni artigianali, limitate, con l’alambicco mobile caricato su un carro che gira da una all’altra.
Ma c’è chi è uscito da questi limiti, ha approfondito, ha studiato ed è cresciuto. Se oltre ad assaggiare prodotti favolosi volete andare a fare un tour didattico su come nasce e si produce il Calvados bisogna andare da Christian Drouin nel cuore del Pays d’Auge, la cru più vocata. Lì andrete a raccogliere le mele, le potrete selezionare, lavare e vedrete come si trasformano in un nobile distillato.
A Parigi c’era direttamente lui ad accoglierci a un tavolo dove erano disposti in serie e in bella fila tanti dei suoi millesimi, dagli anni ’70 ai più recenti. Da perdere la testa per cercare di capire le differenze. E per finire un piccolo bonbon (damigianetta in vetro) con un Brut de fut, a pieno grado, appena uscito dal barile e datato 2004: 53,2 gradi alcolici di puro piacere che fanno momentaneamente dimenticare anche il whisky.
Sullo Sherry
Ximenez Spinola: nettare di piacere
Attimo di pausa, di recupero, proviamo a far scendere un po’ la gradazione ma non il piacere.
Siamo in Spagna, regione di Jerez de la Frontera. Ximenez Spinola, probabilmente l’unica azienda di Sherry che si dedica esclusivamente alla coltivazione della sola uva Pedro Ximenez e mette quindi in bottiglia dei nettari liquorosi che per la loro ardita complessità vanno oltre la sua intrinseca dolcezza diventando un ammaliante fascino di aromi, intensità e ossidazione allo stato puro.
Ci limitiamo a citare l’Old Harvest, dove le annate dichiarate “blendate” vanno dal 1918 al 1964 e ci fermiamo qui perché assaporare queste poche gocce chiede una lunga meditazione.
Sullo Shochu
Torniamo a salire di livello, ma non troppo. La lontana, antica, affascinante e misteriosa cultura giapponese si presenta. L’Oriente che incontra l’Occidente: mondi lontani, ancora sconosciuti e distillati distanti, diversi, ancora da capire ma con quel tocco di modernità per portare la tradizione ai giorni nostri, in armonia con il creato.
Tre assaggi diversi, materie prime diverse (riso, patate, riso e patate) da due distillerie diverse (Ohishi e Shiraishi), sotto la comune etichetta 3S Super shochu spirits. Dal fresco acciaio iniziale a legni particolari, con il Mizunara finale (la nota quercia giapponese tanto ambita e tanto complicata da lavorare per fare botti). Profumi di incensi ed essenze esotiche che amplificano il bouquet. Da conoscere pian piano per chi è ancora estraneo.
Sul Mezcal
Los Siete Misterios: tradizione in tutte le sue espressioni
Come accennato all’inizio, novità dell’anno è il “Patio des agaves“, una zona apposita dove raccogliere i frutti dell’agave nelle loro diverse espressioni. Va bene il Tequila, sicuramente più famoso, ma un affabulatore alcolico che scrive di Mezcal non può non fermarsi un attimo da Los Siete Misterios (fra l’altro uno dei brand più apprezzati al mondo, in generale).
La modernità che va incontro alla tradizione. La ricerca dei campesinos che curano l’agave, le diverse varietà che non siano il solito Espadin classico, un processo di produzione che più arcaico non si può e abbiamo il quadro della situazione. Focus puntato per quanto possibile sulla varietà Tobalà, una delle varietà più piccole, che richiedono più piante per la produzione, più lavoro per la coltivazione e raccolta. Ma un risultato spettacolare, vegetale, speziato, più tabacco che affumicato, zenzero che fa salivare!
E per finire un Pechuga (petto), l’antica espressione casalinga, diversa da famiglia in famiglia, per le grandi ricorrenze: i vapori della distillazione passano in questo caso proprio attraverso dei petti di pollo per modificare lo spettro aromatico. Forse i sentori di carne cotta sono più psicologici che reali, forse si sente più la frutta e il cioccolato, ma ciò che conta è l’emozione di trovarsi come in un matrimonio o in un funerale in uno sperduto polveroso villaggio messicano.
E infine…
Se un racconto da Whisky Live Paris vi è parso fino a ora fuori tema principale… niente paura, a un certo punto si arriva ovviamente anche al whisky!
L’importante presenza di produttori di altri distillati internazionali, credetemi, meritava – manuale 2.0 a parte – una bella parentesi iniziale. L’attesa è finita ed è arrivato il momento di “girarci il mondo” perché dire whisky significa anche questo e, quindi, proviamo a fare una “ambiziosa” scelta per ogni Paese.
Sul Whisky
Michter’s (USA): US*1 Straight Bourbon toasted barrel finish
E siamo arrivati al whisky, anzi al whiskey con la “e” come da tradizione americana. Il nostro amico Nicola, in questa occasione dietro il banco del mezcal, ricordandosi del nostro precedente incontro a Milano nello stand di Michter’s, ci ha fortemente consigliato di andare a chiedere di questa particolare edizione limitata e fidandoci del suo consiglio siamo saliti verso nord, dal Messico al centro pulsante degli Stati Uniti, per raggiungere il Kentucky, stato costellato di distese di mais e di distillerie.
Non c’è probabilmente necessità di spiegare chi è Michter’s (basta guardare indietro a pochi giorni fa) ma è giusto comunque ricordarla come una delle più importanti espressioni del territorio, che riesce a trasmettere grande qualità e prodotti innovativi pur nel rispetto della tradizione.
In questo caso il nostro pregiato Bourbon, dopo i primi anni passati a forgiarsi il carattere nei barili carbonizzati nuovi previsti dal disciplinare, viene selezionato e una parte ritenuta particolarmente significativa viene lasciata a terminare la sua maturazione in un secondo barile appositamente creato per l’occasione in versione solo “toasted”.
Una pregiata edizione limitata, solo per gli amici, dove la dolcezza bourbon si mitiga leggermente, la vaniglia continua a farla da padrone ma arrivano nuove sensazioni fruttate, pera matura, cotta, candita e frutta secca a profusione. Variazione sul tema in un mondo troppo standardizzato. Peccato ne facciano poco!
Waterford (Irlanda): il whisky tracciato dall’inizio alla fine
Mark Reynier arriva in Irlanda dalla Scozia (e non vuole la “e” nell’altro paese del whiskey). Non vuole l’orzo che arriva già pronto da altre parti, si accorda con i coltivatori della zona e mette in piedi un sistema in cui tutto è verificato, tracciato. Dal QR code presemte su ogni bottiglia si recupera il campo di produzione, si trova la data di semina, di raccolta, di maltaggio dell’orzo. Ogni prodotto deve essere una storia a sé, per capire le diversità del terroir. La materia prima innanzitutto.
La cosa bella diventa quindi non la singola bottiglia in sé ma l’assaggio comparato, la ricerca delle differenze, delle sfumature. Ma qui siamo di corsa, non abbiamo tempo, e ci tuffiamo su due selezioni, due scelte meditate di più campi, due cuvee dove il risultato è più della somma delle parti. Sempre localismo, sempre territorio ma stavolta assemblato per ottenere il meglio
Chichibu (Giappone): Il mito e la ricerca ella perfezione
Anche se il trend giapponese si sta un po’ spegnendo, per via dei prezzi, della disponibilità “non su larga scala” o forse solo perché le mode cambiano, Ichiro/Chichibu rimane ancora un mito. Un piccolo angolo di Scozia ricostruito in Giappone, con tanto di tipica pagoda. Una produzione piccola ma meticolosa, particolarmente studiata. Un giusto utilizzo di legni locali e non.
Un tam tam tra gli appassionati dopo i primi rilasci e qualche premio a livello mondiale che hanno reso nota questa realtà in ogni angolo possibile. Fatto sta che, vera gloria o meno, non si può rimanere indifferenti passandoci davanti, e una sosta è d’obbligo.
Abbiamo cominciato con le famose foglie di Ichiro, una serie di tre blend relativi agli inizi, con l’utilizzo anche di distillato acquistato in stock da una distilleria in chiusura. Caratterizzate in etichetta da una foglia di quercia di diverso colore per ogni serie. E’ l’inizio del mito, c’è anche il legno Mizunara, cosa dire di più? Bisogna solo riuscire a trovarle per assaggiarle.
E poi, per concludere in bellezza, la nuova Chichibu on the way 2024, tutta frutto della distilleria. Non più blend, solo malto prodotto direttamente in casa (sotto la famosa pagoda). Qui bisogna fermarsi per una standing ovation! Anche nella fretta e nel caos si riesce a percepire la profondità e la complessità.
NB: unico caso in cui sono ripassato per l’assaggio in entrambi i giorni…
Winestillery (Italia): Tuscan Gin è Florentis tuscan malt whisky (una pausa in italiano)
E’ complicato avere a che fare con un mondo dove la lingua ufficiale è l’inglese (o in questo caso il francese, vista la partigianeria dei nostri padroni di casa). Ecco allora che non appena si presenta l’occasione ci fermiamo un attimo a riposare per un momento rilassante senza l’agitazione di capire e parlare una lingua straniera.
Siamo in Toscana, nella terra del Chianti, dove da un po’ di tempo vengono prodotti Gin, Vermouth, Vodka, Bitter e adesso anche Whisky. Tutto con materia prima italiana e possibilmente Toscana. Tralasciamo tutto il resto e ci buttiamo subito a farci raccontare la storia dell’orzo, prodotto da malteria locale, del piccolo alambicco, costruito su misura da azienda italiana, delle botti del loro vino toscano utilizzate per gli invecchiamenti.
Sarà perché stavolta riusciamo a capirci bene ma andiamo avanti a lungo e, soprattutto, assaggiamo tutto. Se però dobbiamo scegliere una menzione d’onore, allora andiamo sul Supertuscan wine cask dove il super vino non prevale ma arricchisce uno spirito già di per sé significativo. E poi sarà la presenza della segale che dona quella spezia molto gradita ma ne prendiamo subito anche un secondo sorso!
Cotswolds (Inghilterra): masterclass e pausa relax
Dopo tanto girovagare c’è il bisogno di sedersi un attimo ma senza fermarsi con le mani in mano, meglio con 4 bicchieri davanti. Scegliamo una masterclass senza coda infinita (come per i giapponesi) e cogliamo l’occasione per approfondire questa distilleria inglese che ci sta bene per cambiare stato.
Rappresentazione della rinascita inglese nel whisky, che sta portando a tante nuove aperture nel solco dell’artigianalità. Con una storia interessante perché fondata da un americano che stufo della finanza londinese si innamora dei campi di orzo delle dolci campagne appunto del Cotswolds e decide di trasformarli in whisky.
Anche qui quindi materia prima locale e produzione limitata, qualità e non quantità. Sarà per la posizione comoda ma il racconto dei 4 assaggi è filato via in un lampo. Una interessante escursione dal prodotto base al single cask “del distillatore” passando per l’ormai sempre più diffuso passaggio in vino francese. Da approfondire in futuro perché promettono bene.
Glenallachie (Scozia): last but not least… mon amour
Abbiamo girato il mondo senza parlare di quello che rimane ancora il paese più famoso: la Scozia e forse perché lo Scotch è talmente famoso e se ne parla (e bene) anche troppo e sempre.
In realtà ne abbiamo passati vari di stand scozzesi, quindi diventa difficile sceglierne uno ma un po’ perché era il più ben fatto, colorato, iconico, un po’ perché sono di parte per questa distilleria dai lontani tempi del “10 Anni Single Cask Batch 4”, parliamo di Glenallachie.
Speyside, cuore pulsante della produzione di malto scozzese, grandi dimensioni (non siamo a livello artigianale), e un vecchio guru come Billy Walker a dirigere i lavori, puntando su botti che raccontano storie e su invecchiamenti con età dichiarata in etichetta, che fa sempre un migliore appeal.
La scelta è ampia, ma una volta stabilito un legame in italiano con la ragazza dietro al banco (italians do it better!) sono riuscito ad ottenere di straforo (sarà poi vero che non era per tutti?) un diciasettenne – 17 YO – finito in Mizunara (sempre lui… mon amour) e Sherry Oloroso, da 270 sterline la bottiglia. 50 gradi alcolici (né pochi né troppi) di infinite sensazioni, dal miele allo zenzero, dalla buccia d’arancia essiccata al tabacco, spruzzata di cacao, spezie calde a profusione…
Finito il giro…
Finito il giro del whisky, le opportunità non sarebbero comunque terminate al Whisky Live Paris. Una manifestazione davvero grande – e forse anche troppo – ma sicuramente uno dei pochissimi luoghi dove si riesce ad approfondire parecchi concetti assaggiando davanti alle aziende dal mondo.
Il passaggio mi si apre davanti sulla Cocktail Street, un bel padiglione dedicato alla miscelazione con le sue musiche rumorose e qualcuno che balla… ma noi siamo per i prodotti neat, nudi e puri, per cui passiamo oltre e torniamo a casa.
Sembra proprio di aver fatto un bel giro del mondo in 80 (giorni) sorsi. Caro Mr. Fogg… è finita.
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